Nel rapporto sulle prospettive dell'industria italiana e dei suoi settori si sfatano alcune convinzioni - come che il Green Deal sia dannoso - e si scoprono alcuni punti di forza - come la redditività delle imprese e la loro capacità di investimento. Mentre i consumi faticano a ripartire
In un mondo in cui «l’economia mondiale è in bilico tra rallentamento e recessione» (parole di Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia), l’industria italiana, nonostante i problemi che vedremo in seguito, potrà contare su un ebitda, cioè una redditività della sua attività (al lordo di tasse, ammortamenti, interessi passivi) «a livelli elevati».
Quindi buoni cash flow, da cui derivano buone condizioni di autofinanziamento per nuovi investimenti, agevolati anche dal fatto che il denaro a debito ha costi inferiori grazie alla discesa dei tassi.
Un’altra pennellata di rosa al ritratto delle imprese offerto dall’ultima Analisi sui settori industriali curata da Intesa Sanpaolo e Prometeia, viene dal Roi, che misura la redditività del capitale investito in azienda, redditività che si prevede superiore al 10% per il 44% delle imprese, incluse dunque molte PMI.
Entrambi gli indicatori indicano insomma uno stato diffuso di salute nel mondo industriale.
Certo, i settori “in forma” non sono tutti quelli che costituiscono il nostro panorama imprenditoriale. Quelli più brillanti sotto il profilo indicato sono il largo consumo, l’elettrotecnica, la farmaceutica, ma anche per la meccanica e l’elettronica, persino gli alimentari, i mobili e la moda, finora sofferenti, si annuncia la buona novella della ripresa.
Perché questi risultati che emergono dalle “Le prospettive per l’industria italiana al 2027, tra innovazione tecnologica e riconfigurazione del commercio mondiale”, curato da Intesa Sanpaolo e Prometeia, sono rilevanti?
Perché stridono con gli allarmi della Confindustria sulla deindustrializzazione strisciante – italiana e anche europea –, soprattutto quando il suo presidente Emanuele Orsini ne dà la colpa al Green Deal, definito da lui “una grande cavolata”.
Eppure è proprio la doppia transizione, quella che unisce la digitalizzazione e l’evoluzione verso una sostenibilità energetica voluta dal Green Deal, a fare da propulsore alla crescita delle imprese e al loro successo sui mercati. Come questo rapporto conferma.
Tutto ciò non vuol dire che siamo un’isola felice in un mondo dominato dall’incertezza. I dazi di Trump, le guerre, l’antagonismo Usa-Cina, tutti fattori che hanno rivoluzionato le catene commerciali, hanno prodotto effetti negativi anche su di noi, a cominciare dall’export in panne (l’anno in corso si chiuderà con uno smilzo 0,9%).
Ma il mondo continua ad essere sospinto verso una – pur esigua – crescita e ciò che si intravede, secondo le previsioni del rapporto, per il 2026-2027, è appunto l’uscita dall’incertezza, con una ripresa. Non clamorosa, ma comunque ripresa.
Il vento a favore che la sospinge si chiama intelligenza artificiale, le cui promesse provocano i grandi rialzi di borsa e attivano anche massicci investimenti. Ebbene, l’IA è vista ormai anche in Europa come la miccia per riaccendere la crescita. Non a caso, sulla costruzione dei data center per supportare l’IA si sta concentrando più della metà degli investimenti stranieri in corso nell’Europa occidentale, surclassando anche quelli in energie rinnovabili (https://www.fdiintelligence.com).
Al clima di incertezza l’Italia ha reagito con una struttura di imprese che non si danno per vinte. Stanno riorganizzando i propri mercati di sbocco, ridefiniscono le catene del valore, investono in innovazione e digitalizzazione. E il nocciolo duro della nostra manifattura, cioè la meccanica, mostra ancora una volta quella resistenza e capacità di ripartenza per cui è famosa (è previsto un fatturato deflazionato in aumento del 2,2% medio annuo nel biennio ’26-’27).
È al settore manifatturiero nel suo complesso, dunque, che bisognerà dire grazie per la crescita tra il 2026 e il 2027: dopo il 2025 chiuso per il sistema manifatturiero Italia a meno 1%, sarà con il più 1% e più 0,9% che potrà veleggiare nei prossimi due anni, mentre la ripresa dei consumi sarà invece modesta.
Le famiglie italiane, infatti, si dimostrano poco inclini a spendere. È vero, l’inflazione si è fermata, i rinnovi contrattuali hanno rimpinguato gli stipendi, ma le risorse in più hanno preso la strada del risparmio. E quel + 0,7% registrato nel primo semestre di quest’anni alla voce consumi, si deve soprattutto alla spesa degli stranieri e all’esecrato overtourism.
D’altra parte, il potere d’acquisto degli italiani resta quanto mai diversificato, con una crescita di famiglie in situazione di povertà (anche nel più opulento Nord, non solo nel Mezzogiorno) e una classe media in difficoltà.
Meglio vanno gli investimenti. Nel 2025 sono già ripartiti, anche se la crescita è in gran parte dovuta alla voce PNRR e alle opere pubbliche. Nel prossimo biennio, invece, la parte del leone la faranno gli investimenti delle imprese per l’efficientamento in campo energetico e gli investimenti in tecnologie per l’innovazione. Mossi, come si diceva all’inizio, dalla doppia transizione.
Il cammino per portare tutto il mondo delle imprese a un grado di innovazione avanzato è lungo: le tecnologie molto evolute hanno un grado di penetrazione inferiore al 20%, mentre un quinto delle imprese non ha ancora adottato alcuna tecnologia digitale, restando così lontana dai miglioramenti che assicura, come dimostrato nella ricerca, in termini di competitività e una produttività.
A trainare la crescita, nei prossimi due anni, sarà proprio quella fetta di imprese definite “medium high tech” (il 31% del totale) che sono la spina dorsale del sistema: con un più 1,7% in ognuno dei due anni dello scenario, consentirà al paese di galleggiare nonostante l’esaurirsi del PNRR e un export che si riprenderà solo nell’area intra-Ue.
P.P.