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Ευρώπη: i nodi al pettine e le speranze all’orizzonte

Gli avvenimenti che nelle ultime settimane stanno interessando la Grecia mostrano un’Ευρώπη che, lungi dall’implementare compiuti meccanismi di solidarietà tra i paesi, troppo spesso è arroccata su rigide ed inefficaci posizioni volte ad applicare tra stati nazionali le regole dei rapporti di debito/credito tipici di una transazione tra privati. Il caso della Grecia sta mettendo in luce la debolezza dell’Ευρώπη che, se vuol sopravvivere, non soltanto dovrà provvedere all’immediato salvataggio della Grecia, ma dovrà anche impegnarsi a costruire meccanismi solidaristici che possano davvero fare in modo che le economie forti supportino le più deboli.

Giuseppe Zito
Zito

La crisi politica ed economica dell’Ευρώπη ha radici profonde e lontane, tuttavia gli avvenimenti di queste ultime settimane, con riferimento alla crisi greca (e non solo) ci dicono molte cose, sia sul piano politico che su quello economico. Ogni volta che l’Ευρώπη affronta una situazione minimamente complessa (politica estera nel caso del conflitto siriano, rapporti con la Russia, politica dell’immigrazione) genera NON-soluzioni o peggio ancora finisce per amplificare i problemi uscendone sistematicamente indebolita, al suo interno e nell’immagine esterna.

La gestione del caso greco ne è chiaramente un esempio. È preoccupante come si sia arrivati a questo punto, quando è chiaro a tutti gli osservatori, anche ai poco attenti, che i nodi del debito greco, confusamente ristrutturato con il supporto della Troika, sarebbero venuti al pettine al primo colpo di tosse. Ancora una volta l’Ευρώπη mostra di non aver pensato (e di non voler pensare) a meccanismi di solidarietà efficaci tra paesi, che consentano a chi è in difficoltà di beneficiare del supporto di chi non lo è; al contrario ci si limita ad applicare tra stati nazionali le rigide regole dei rapporti di debito/credito tipici di una transazione tra privati.

Man mano che un debito diventa grande le responsabilità del creditore aumentano. Quest’ultimo è tenuto a valutare che il debito sia per ammontare e scadenza sostenibile per colui che si impegna a pagare e soprattutto deve esercitare quell’attività di “monitoring” che la letteratura economica considera una delle basi del funzionamento del mercato creditizio. Più il debito diventa insostenibile, meno attento sarà il comportamento del debitore e più alto sarà il suo incentivo a intraprendere comportamenti da “free rider”. Improvvisamente il problema del debitore si trasforma in problema per il creditore che deve rivedere i suoi piani finanziari. Se rivuole indietro i suoi soldi, il creditore deve avere pazienza e iniziare a collaborare con il debitore, riaccendendo in lui la speranza di poter pagare perché “il futuro sarà migliore del presente”.

Un po’ di numeri aiutano: Il PIL greco a fine 2014 era 180 mld di euro, mentre il debito pubblico ammontava a 317[1] mld di euro, il 177% del PIL[2]. Oltre 35 mld[3] dei 330 di debito totale scadevano o scadranno nel 2015: sul punto non si può certo affermare che i creditori nel ristrutturare il debito greco (nel 2010) siano stati lungimiranti! Nell’immediato il problema greco è il seguente: lo Stato ha accesso limitato al mercato dei capitali[4] e non può pensare di rimborsare nel 2015 i 35 miliardi che dovrebbe e che corrispondono al 16,6 % del suo PIL.

Se si analizzano i dati dell’Agenzia Greca per la Gestione del Debito Pubblico( www.pdma.gr ) si nota che il costo medio ponderato del debito greco è del 2,7% (dati a fine 2014) e che la scadenza media ponderata è già molto lunga, superiore ai 15 anni (quella Italiana è poco più di 6 anni[5] ). Il 66% dei titoli è a tasso variabile, il restante a tasso fisso.

Dunque, da un lato va dato atto ai creditori internazionali di aver a suo tempo (nel 2010) accettato di ristrutturare il debito greco, a condizioni sostanzialmente fuori mercato per un paese in default; dall’altro lato, è evidente che tutto ciò non è bastato, che le riforme imposte al governo greco non hanno prodotto risultati e che le ricette fornite non si sono mostrate idonee a risolvere in modo strutturale il problema. In verità l’hanno aggravato e amplificato.

Quanto sono rilevanti i numeri della Grecia in rapporto a quelli dell’Eurozona? Sono assolutamente marginali; il PIL greco rappresenta infatti il 6% di quello tedesco esolo l’1,7% di quello dell’area euro. Il debito pubblico greco è invece pari al 3,4% del debito pubblico totale dei paesi dell’euro.

I principali oppositori ad una soluzione “facile” sostengono che un vero salvataggio: 1) creerebbe un pericoloso precedente per cui altri debitori in un futuro – anche prossimo – potrebbero legittimamente pretendere un analogo trattamento; 2) accrescerebbe i fenomeni di moral hazard, disincentivando il governo greco a procedere sulla strada delle riforme; 3) sarebbe difficilmente giustificabile ai cittadini degli altri paesi europei. Tutte motivazioni sensate in teoria, ma disastrose nella pratica e che hanno portato una situazione di veti incrociati che allontana qualunque soluzione. Ma come si è potuti giungere fino a questo punto? È chiaro che la costruzione dell’Ευρώπη è incompleta e che su alcune questioni lo è in modo preoccupante.

Un esempio, anche se un po’ bizzarro, aiuta ad individuare i termini del problema. Immaginiamo l’Italia al tempo della lira come un’area valutaria unica composta da due stati (Nord-ricco/Sud-povero). I due stati hanno la stessa moneta (la lira) e il Sud, benché economicamente più debole, non può svalutare[6] . Cosa succede? L’aera valutaria implode se non vengono previsti dei meccanismi di riequilibrio[7]. E infatti, il nostro paese sarebbe imploso, se non fossero stati previsti meccanismi solidaristici che tecnicamente vengono definiti di perequazione.

Le regioni ricche del Nord, trasferiscono da sempre risorse alle regioni del Sud. Il meccanismo perequativo è il contratto sociale che ha retto e tuttora regge il paese. Senza perequazione il Sud prima o poi troverebbe conveniente adottare la “liretta”, meno forte della “lirona” del Nord. In questo modo, il Nord “esporterebbe” meno e il Sud si troverebbe in una situazione di vantaggio competitivo.

La svalutazione quindi è l’altra faccia della medaglia della perequazione. Si tratta dell’uovo di Colombo? Ovviamente no. Così non si risolvono i problemi strutturali, non si creano i giusti incentivi a migliorare e si genera il fenomeno del moral hazard. I cittadini del Sud approfittano della situazione, si “godono” i trasferimenti dal Nord e diventano gradualmente sempre meno efficienti.

Tutto vero, ma questo giustifica la cancellazione dei meccanismi perequativi? Niente affatto! Il meccanismo di solidarietà (perequazione), seppur distorsivo, mantiene unito il paese. Spetta poi alla politica lavorare per ridurre le differenze, mettere le giuste regole, preoccuparsi che si rispettino e l’Italia in questo caso non è da prendere a modello.

Perché questo esempio? Perché l’Ευρώπη è un’area valutaria del tutto priva dei meccanismi solidaristici e perequativi che gli stati nazionali avevano costruito al loro interno. E in una area valutaria senza meccanismi perequativi i ricchi diventano più ricchi e i poveri diventano più poveri: i primi accumulano incessantemente crediti nei confronti dei secondi che prima o poi non saranno più in grado di pagarli[8].

I meccanismi perequativi esistenti (Fondi Strutturali, Obiettivo 1, trasferimenti) sono del tutto insufficienti per importo e per struttura. C’è quindi una soluzione? Grecia sempre più povera e Germania sempre più ricca?

L’ Ευρώπη ha due immani sfide davanti a sé,entrambe cruciali per la sua stessa sopravvivenza.

La prima è salvare la Grecia a tutti i costi. Al punto in cui siamo le soluzioni sono sempre meno e la loro qualità è inversamente correlata al tempo che passa. Una possibile soluzione è ristrutturare il debito greco, senza perdite nominali per i creditori e allungando di altri 10 anni la scadenza media ponderata. Un debito di 100 euro al 3% per 15 anni (l’attuale scadenza del debito greco) comporta pagamenti medi annuali di 8,4 euro; se lo si portasse a 25 anni il servizio annuale del debito sarebbe 5,7 euro, liberando risorse importanti. Queste risorse (“liberate”) dovrebbero rappresentare la base per un “patto sociale” tra i greci e gli altri cittadini europei. La Grecia da parte sua dovrebbe predisporre un serio pacchetto di riforme in grado di consentire al paese di sfruttare l’occasione che i creditori gli stanno concedendo. Qual è però la ricetta giusta? Riforma delle pensioni, liberalizzazioni, vendita delle aziende di stato, aumento delle imposte, riduzione dei dipendenti pubblici, tagli? Probabilmente no, o perlomeno non tutto quello che viene chiesto dalla Troika è corretto.

Alcuni esempi aiutano a capire i termini del discorso.

1. Secondo i dati OCSE, l’età media di effettivo pensionamento nel periodo 2007-2012 era di 61,9 anni in Grecia,62,1 in Germania, 59,7 in Francia, 61,1 in Italia[9]. E’ vero che la spesa pensionistica greca è, in rapporto al PIL del paese, disallineata dalla media europea, ma tale disallineamento è in larga parte da attribuirsi al calo del PIL, superiore al 25% negli ultimi 7/8 anni. La soluzione non è il taglio draconiano delle pensioni che ridurrebbe ulteriormente il potere d’acquisto dei cittadini greci e che amplificherebbero la spirale recessiva. Il problema della sostenibilità si ridurrebbe di molto in presenza di una crescita economica sostenuta e sostenibile, ma diventerebbe enorme in caso di ulteriori cali del PIL.

2. I dati Banca d’Italia pubblicati in “Le statistiche di finanza pubblica dei paesi dell’UE” aiutano a dissipare false credenze e falsi miti. Il totale delle entrate[10] in rapporto al PIL è pari al 45,8% in Grecia e al 44,6% nella virtuosa Germania e al 48,1% in Italia. I contributi sociali[11] sono pari al 13,4% del PIL in Grecia e in Italia e al 16.6% in Germania. I redditi da lavoro pagati dalle amministrazioni pubbliche[12] sono pari al 12% del PIL in Grecia, al 10,1% in Italia e al 7,7% in Germania. Tale dato (in è Francia 13%) riflette semplicemente il peso del settore pubblico nell’economia greca.

I dati finora mostrati sembrano – almeno parzialmente – contraddire la posizione assunta dalla Troika con riferimento agli squilibri dell’economia greca e sembrano far emergere con forza la necessità di rimetterla su un sentiero di crescita, piuttosto che di poderoso aggiustamento recessivo.

Detto ciò, l’interesse comune è che la Grecia, supportata dai suoi creditori, si concentri seriamente su politiche di lungo periodo, investendo nella propria scuola, nell’università, nell’istruzione, nella riforma della giustizia, nella lotta a burocrazia, corruzione ed evasione fiscale, creando così le basi perché il paese possa tornare crescere. La Grecia dovrebbe cioè puntare ad incrementare quel complesso di fattori che l’economista Solow chiamava “residuo”, ovvero tutto ciò che spiega la crescita e il progresso e che non è né capitale né lavoro, ovvero cultura, capitale umano, infrastrutture, logistica, bellezza, efficienza.

La seconda sfida è di medio periodo ma ugualmente urgente. L’Ευρώπη, se vuole evitare un futuro complesso e pieno di ostacoli,deve buttarsi alle spalle i tecnicismi dei rapporti e dei numeri, puntando davvero alla costruzione di meccanismi solidaristici tra economie forti ed economie deboli. Non si capisce il motivo per cui un’Ευρώπη che ha deciso di dotarsi di un’unica moneta (e da poco anche di un unico sistema di vigilanza sul settore bancario), non possa costruire dei meccanismi solidaristici e perequativi che consentano a chi è in difficoltà di trovare un supporto. E perché non pensare a un’Ευρώπη con un unico sistema pensionistico, in cui lo stato A non potrà più imputare allo stato B il fatto che i suoi cittadini lavorino per più anni. Stesse regole per tutti e un meccanismo di solidarietà che non affami nessuno. Questo è lo sforzo che deve fare l’Ευρώπη, in modo che sia percepita come una casa comune.

Fino ad ora, utilizzando parole che furono di Federico Caffè, “al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei riequilibri contabili”. Cerchiamo nei prossimi mesi di non continuare con questo inumano errore e nei prossimi giorni non dimentichiamo che Ευρώπη è una parola greca.


[1] I 317 miliardi di debito pubblico sono sostanzialmente così suddivisi, il 45% (142 miliardi di euro) è detenuto dal Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf), con scadenza a partire dal 2023. Gli altri creditori della Grecia sono la Bce (27 miliardi di euro), i governi dell’Eurozona (53 miliardi di euro), il Fondo monetario internazionale (24 miliardi di euro) e gli investitori privati. Per effetto della ristrutturazione del 2010 il 74% è “non tradable

[2] Fonte: Eurostat.

[3] Fonte: Agenzia Greca per la Gestione de Debito Pubblico (www.pdma.gr)

[4] Secondo i dati dall’Agenzia Greca per la Gestione de Debito Pubblico, nel primo trimestre 2015 la Grecia ha emesso circa 10 miliardi di bond, utilizzati in gran parte per estinguere altro debito in scadenza.

[5] Fonte: MEF

[6] Invece in un normale equilibrio di domanda e offerta con cambi flessibili la moneta del Sud (che chiameremo simpaticamente liretta) si deprezzerebbe.

[7] La teoria economica ne individua diversi, noi ci concentreremo su quello di più immediata applicazione, ovvero quello fiscale/perequativo.

[8] Prima del 1 gennaio 2002, anno di introduzione dell’euro, il saldo di bilancia dei pagamenti della Germania era negativo, mentre a partire da tale data e fino al 2014 la Germania ha accumulato surplus crescenti di dimensioni esorbitanti, pari a 2300 miliardi di dollari (dati FMI, riferiti al cumulato 2002-2014). Nello stesso periodo la Grecia ha accumulato un debito estero di 277 miliardi di dollari, più grande del suo PIL. Il deficit di bilancia dei pagamenti Greco è esploso a partire dal 2002. Vale la pena precisare che saldi negativi della bilancia dei pagamenti (parte corrente) si riflettono in un accumulo di debito estero.

[9] Dati riferiti alla popolazione maschile. I dati riferiti alla popolazione femminile sono 60,3 anni in Grecia,61,6 in Germania, 60 in Francia, 60,5 in Italia.

[10] Somma delle imposte dirette, indirette, dei contributi sociali e di altre entrate correnti anche in conto capitale.

[11] Somma dei contributi sociali effettivi, pagati dai lavoratori o dai loro datori di lavoro (direttamente o attraverso le agenzie preposte), e dei contributi sociali figurativi.

[12] Pagamenti effettuati in denaro o in natura dalle Amministrazioni pubbliche ai loro dipendenti. Questi pagamenti includono gli stipendi netti e i contributi sociali effettivi e figurativi.

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