Verso una democrazia maggioritaria

La Pasqua può essere l'occasione per una riflessione sulla fase politica che stiamo vivendo. Alla fine, al di là della più immediata contingenza, dove ci stanno portando le politiche del governo Renzi? Se prendiamo le distanze da come saranno trovate le risorse per il bonus in busta-paga o dai risultati delle europee di maggio, quale linee di fondo stanno emergendo ovvero si cominciano a intravedere?

Leonardo Morlino
MORLINO

La Pasqua può essere l’occasione per una riflessione sulla fase politica che stiamo vivendo. Alla fine, al di là della più immediata contingenza, dove ci stanno portando le politiche del governo Renzi? Se prendiamo le distanze da come saranno trovate le risorse per il bonus in busta-paga o dai risultati delle europee di maggio, quale linee di fondo stanno emergendo ovvero si cominciano a intravedere?

L’aspetto più rilevante è che ci troviamo di fronte a un tentativo, il quarto negli ultimi venti anni, di spostare l’asse della democrazia italiana in direzione maggioritaria. Che vuol dire? Quali sono stati i precedenti tentativi? Questo avrà, finalmente, successo? E se sì, quali saranno le conseguenze?

La crisi economica ha portato élite politica e cittadini a capire, al di là di ogni dubbio, l’importanza di avere decisioni politiche rapide ed efficaci. Ovvero che non ci siano processi decisionali continuamente rallentati o bloccati dall’intervento di poteri di veto, a cui si dà spazio attraverso procedure complesse che prevedono la partecipazione di più attori. Ma procedure decisionali più rapide ed efficaci sono solo maggioritarie e sono caratterizzate dall’intervento del minor numero possibile di attori, oltre che da controlli ex-post dell’opposizione parlamentare e di media attivi e incisivi.

Qui sta uno dei paradossi di fondo della democrazia. Soluzioni istituzionali maggioritarie funzionano bene solo se sia tra le élites politiche che nella società vi è relativa omogeneità di posizioni e valori (ormai non più ideologie), come nel Regno Unito. Se invece vi sono maggiori distanze in termini di valori e posizioni, allora una democrazia maggioritaria può diventare essa stessa inefficiente. Si pensi agli Stati Uniti con Obama e alla relativa maggiore radicalizzazione di questi anni con il prolungato stallo ad esempio della riforma sanitaria. O si pensi alla Grecia, anch’essa una democrazia maggioritaria per decenni che ha dato risultati politici ed economici disastrosi, dovuti proprio alla radicalizzazione e alla necessità di mantenere il sostegno di cittadini politicamente molto distanti tra loro. In breve, una democrazia maggioritaria è una soluzione in quanto consente processi decisionali più efficienti. Ma in contesti radicali o radicalizzati può diventare un problema in quanto gli stessi meccanismi di controllo politico, se non utilizzati in modo moderato e corretto, possono paralizzare le stesse decisioni prese oppure l’accesso di un numero più limitato di attori alle decisioni può tradursi in protesta, anche violenta e antisistema, di chi rimane fuori e insoddisfatto.

La crisi politica dell’Italia nei primi anni Novanta porta al primo tentativo di trasformare la democrazia largamente consensuale in senso maggioritario. Con il primo governo Berlusconi del 1994, Previti presenta esplicitamente una versione forte di maggioritarianismo, precisando “non faremo prigionieri”. Il secondo tentativo serio è quello di D’Alema con la commissione bicamerale del 1997 e gli accordi sabotati dalla Lega e non mantenuti da Berlusconi. Il terzo tentativo è quello che porta alla nuova legge elettorale con premio di maggioranza del 2005 e alla revisione costituzionale, poi bocciata dal referendum del 2006.

Questo quarto tentativo può avere successo. Renzi ha mostrato di avere ben chiari quali siano i problemi e come occorra iniziare dalla riforma del Senato con la fine del bicameralismo perfetto che ormai non ha più nessuna democrazia parlamentare. Se, però, ha successo occorre avere consapevolezza delle condizioni essenziali (bipolarismo e numero molto ridotto di partiti) e dei pericoli. Di questi ne ricordo due. In un contesto di insoddisfazione dei cittadini, limitare la rappresentatività e le possibilità di accesso ai processi decisionali può tradursi nello sviluppo di un’opposizione radicale che può scegliere la strada e la piazza per manifestarsi, invece che canali istituzionali. I controlli politici e giurisdizionali a cui deve sottostare una tale democrazia hanno bisogno sia di una cultura moderata che non traduca quel potere di controllo in paralisi decisionale sia di media e una società civile informata e attiva. Abbiamo queste condizioni? Possiamo superare I pericoli?