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Superpopolari contendibili solo se ex

Il governo punta a scardinare l’assetto proprietario delle maggiori banche popolari costringendole a trasformarsi in spa. E trova l’opposizione dell’associazione di categoria.

Chiara Petronzio

Il d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 (recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti) modifica, tra l’altro, alcune disposizioni del Tub, proponendosi di realizzare una complessiva riforma delle banche popolari, vale a dire delle banche alle quali (unitamente alle banche di credito cooperativo) è riservata la possibilità di esercitare l’attività bancaria in forma di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata.

Questa riforma ridefinisce, anzitutto, le caratteristiche essenziali delle banche popolari, attraverso l’individuazione di una soglia dimensionale massima degli attivi finalizzata a restringerne il novero. Questa innovazione si inserisce, nelle intenzioni del legislatore, in un più ampio processo di riordino e razionalizzazione del sistema bancario italiano, reso anche necessario dall’introduzione della nuova vigilanza unica europea.

In secondo luogo, il Decreto modifica parzialmente il regime applicabile alle (restanti) banche popolari, che siano tali in quanto “non sopra-soglia”, incidendo sulle disposizioni del Tub in tema di operazioni straordinarie, diritto di rimborso correlato all’esercizio del diritto di recesso e regole di diritto societario di derivazione codicistica applicabili.

1. Da superpopolari a ex popolari

Le superpopolari vengono individuate mediante la previsione, come accennato, di una soglia dimensionale che il loro attivo non può superare, pena lo snaturamento della banca in quanto banca popolare e il conseguente obbligo di abbandonare la forma della società cooperativa per azioni a responsabilità limitata o, in alternativa, di riportare l’attivo entro il limite massimo consentito (cfr. modifiche all’art. 29 del Tub).

Il limite individuato dal legislatore è di 8 miliardi di euro e il suo superamento deve essere verificato a livello individuale ovvero, nel caso in cui la banca sia capogruppo di un gruppo bancario, a livello consolidato.
Il riferimento all’attivo della banca rappresenta un parametro non nuovo alla normativa di settore, essendo stato utilizzato, nel contesto comunitario, per identificare le banche “significative” ai fini del Single Supervisory Mechanism (Ssm) e costituendo altresì, in ambito nazionale, uno dei principali criteri funzionali a qualificare le banche italiane come banche di maggiori dimensioni o complessità operativa, banche intermedie o banche di minori dimensioni o complessità operativa ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia di governance e politiche e prassi di remunerazione e incentivazione, commisurata alla luce del principio di proporzionalità (cfr. Titolo IV, Capitoli 1 e 2 della Circolare Banca d’Italia 17 dicembre 2013, n. 285 e relativi aggiornamenti).

La ratio sottesa a questa impostazione è che la dimensione dell’attivo sia direttamente correlata alla complessità dell’attività svolta e che, a sua volta, la complessità dell’attività svolta determini l’esigenza di adottare sistemi di governance e modelli organizzativi adeguati a prestare efficacemente questa attività. Il tipo societario di riferimento è preliminare rispetto alla concreta configurazione del sistema di governance e del modello organizzativo prescelti da una determinata banca e ne condiziona inevitabilmente assetto e funzionamento.

Di conseguenza, una banca popolare che sia per dimensioni assimilabile a una banca ordinaria deve adottare un sistema di governance e un modello organizzativo e, perciò, a monte, un tipo societario, che siano coerenti con la sua capitalizzazione e con le logiche del mercato verso il quale, stanti (anche) le sue dimensioni patrimoniali, è diretta la propria operatività.

L’organo amministrativo delle banche popolari che superino il limite degli 8 miliardi di euro deve convocare l’assemblea affinché questa adotti “le determinazioni del caso”. Queste determinazioni possono essere finalizzate, alternativamente, a: (i) ridurre l’attivo in modo tale che la soglia non possa dirsi superata; (ii) trasformare la banca in una società per azioni; (iii) addivenire alla liquidazione della banca. Sebbene ciò non sia esplicitato, appare chiaro che la trasformazione di una banca popolare possa essere effettuata anche nel contesto di una più ampia operazione di fusione dalla quale risulti una società per azioni.

Là dove, entro un anno dal superamento della soglia, non sia stata adottata alcuna delle soluzioni di cui sopra, la Banca d’Italia, “tenuto conto delle circostanze e dell’entità del superamento”, può adottare il divieto di intraprendere nuove operazioni, proporre al Mef l’amministrazione straordinaria, disporre la gestione provvisoria ovvero proporre alla Banca Centrale Europea la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e al Mef la liquidazione coatta amministrativa, fermi restando gli ulteriori poteri di intervento e sanzionatori in genere attribuiti alla Banca d’Italia dal Tub.

In sede di prima applicazione delle disposizioni circa i limiti dimensionali dell’attivo appena illustrate (che sono comunque immediatamente efficaci), le banche popolari autorizzate al 25 gennaio 2015, data di entrata in vigore del Decreto, devono provvedere agli adeguamenti necessari entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore delle previsioni di secondo livello che la Banca d’Italia è chiamata ad adottare in attuazione dell’art. 29 del Tub.

Per effetto delle variazioni descritte, il novero delle banche popolari viene delineato alla stregua di un requisito ulteriore rispetto a quelli di cui agli artt. 29 e 30 del Tub: alle caratteristiche ivi indicate (valore nominale minimo delle azioni; deroga alle norme in materia di cooperazione (contenute nel d.lgs. 14 dicembre 1947, n. 1577); principio del voto capitario; limite alla percentuale di capitale detenibile da un singolo socio; numero minimo di soci; regole in tema di requisiti per l’ammissione a socio) si aggiunge ora il limite alle dimensioni dell’attivo.

Ne deriva una riduzione del numero delle banche popolari rispetto a quelle oggi (ancora) esistenti; le banche popolari di maggiori dimensioni sono costrette a diventare banche ordinarie, modificando il tipo societario e, quindi, ripensando globalmente il sistema di governance e l’articolazione organizzativa sin qui attuati. Esse devono confrontarsi con le banche ordinarie, con le quali in effetti già concorrono, sulla base dei medesimi modelli strutturali. Appare inevitabile che questo ripensamento globale sarà condizionato anche dai nuovi assetti proprietari che si definiranno all’esito della trasformazione in società per azioni.

Le banche popolari che resteranno tali dovrebbero presentare tratti comuni più uniformi e mantenere una piena coerenza tra tipo societario adottato, dimensione degli attivi, complessità delle attività esercitate.
Assopopolari si oppone a una riforma tanto radicale che, senza tenere conto della storia identitaria delle banche popolari, separa in modo netto banche popolari e superpopolari, prevedendo l’espulsione di queste ultime dal contesto di riferimento.

Nel comunicato stampa diffuso dall’Associazione, già il 22 gennaio scorso, si leggeva come questa fosse contraria a “una politica economica finalizzata esclusivamente a trasferire la proprietà di una parte rilevante del sistema bancario italiano alle grandi banche internazionali” e che, per queste ragioni, non sarebbe stato lasciato “nulla di intentato, perché il d.l. venga meno e l’ordinamento giuridico continui a consentire a tutte le banche popolari di mantenere la propria identità”.

È datato 4 febbraio 2015 l’ultimo comunicato stampa sul punto, nel quale l’Associazione, a seguito di una riunione ad hoc del proprio Consiglio di Amministrazione, osserva che “il concetto di mutualità viene oggi declinato con il facilmente misurabile impegno nei confronti dell’economia reale e dello sviluppo competitivo dei territori, nonché nelle forme diversificate di impegno sociale; la patrimonializzazione delle Popolari coinvolte dal decreto è adeguata, come testimoniato dall’avvenuto superamento dei recenti test Bce; la dimensione dell’attivo non è incompatibile con la mutualità, come è dimostrato dalla presenza sui mercati internazionali di Banche cooperative con attivi abbondantemente superiori ai 1.000 miliardi”.

La controproposta di autoriforma che Assopopolari, coadiuvata dalla commissione di esperti indipendenti, composta dai Professori Tantazzi, Marchetti e Quadrio Curzio, sta mettendo a punto in vista della conversione del d.l. prospetta soluzioni diverse che, per quanto possibile comprendere in assenza di testi ufficiali disponibili al pubblico, prevedono alternativamente, il mantenimento delle superpopolari nel mondo delle popolari, a prescindere dalla consistenza dei loro attivi, ma con una più significativa apertura al capitale nella formazione degli organi di governo, ovvero “nella diversa prospettiva, non scevra di dubbi di legittimità costituzionale, di forzosa conversione in spa”, una ponderazione del voto di capitale delle ex popolari trasformate in società per azioni, con particolare favore per i soci con possesso azionario limitato/durevole. In quest’ottica, si potrebbero introdurre modelli ibridi di governance che consentano di eleggere l’organo di amministrazione applicando agli investitori istituzionali il principio generale valido per le società per azioni, secondo cui ogni azione attribuisce un voto, e ai restanti soci il principio del voto capitario; si potrebbe altresì pensare a un tetto al voto, per ridurre la possibilità di scalate ostili.

Assopopolari si dice favorevole a una riforma del settore, purché questa avvenga mediante l’“individuazione di una soluzione condivisa, nell’interesse del sistema e del paese”.

2. Le (restanti) banche popolari

Il regime applicabile alle banche popolari come ridefinite in applicazione della nuova soglia dimensionale (i.e. le banche popolari che, ferme restando le caratteristiche di cui agli artt. 29 e 30 del Tub, abbiano un attivo pari o inferiore a 8 miliardi di euro o che, pur avendo superato questo limite, abbiano provveduto a rientrarvi nel termine di un anno dall’avvenuto superamento) devono applicare le disposizioni del Tub ad esse relative, tenendo conto delle modificazioni di seguito descritte.

2.1 Trasformazioni, fusioni e diritto di rimborso correlato al recesso

La disciplina in tema di autorizzazione e approvazione delle operazioni di trasformazione di banche popolari in società per azioni e di fusione alle quali partecipino banche popolari e da cui risultino società per azioni viene emendata con l’introduzione di specifiche maggioranze assembleari necessarie per la valida deliberazione di queste operazioni (cfr. modifiche all’art. 31 del Tub).

Diversamente dal testo previgente, che faceva riferimento alle “maggioranze previste dagli statuti per le modificazioni statutarie” (precisando altresì che quando, in relazione all’oggetto delle modificazioni, gli statuti prevedessero maggioranze differenziate, si applicasse la maggioranza meno elevata), il nuovo art. 31 del Tub prescrive che queste operazioni debbano essere in ogni caso deliberate: (i) in sede di prima convocazione, con la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, purché in assemblea sia rappresentato almeno un decimo dei soci della banca; (ii) in sede di seconda convocazione, con la medesima la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, ma indipendentemente da quale sia il numero dei soci intervenuti in assemblea.

L’eliminazione del rinvio alle maggioranze statutarie determina l’uniformazione del peso che i soci di una banca popolare possono esercitare rispetto a operazioni straordinarie del genere indicato. Le maggioranze previste per legge sono peraltro tali da evitare in ogni caso che minoranze organizzate possano opporsi in modo efficace all’approvazione di queste operazioni (come detto, in seconda convocazione, l’operazione è deliberata con la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, a prescindere dalla rappresentatività di questi voti in assemblea).

La nuova formulazione dell’art. 31 non contiene più alcun riferimento alla preventiva autorizzazione della Banca d’Italia; ciò peraltro non implica che sia venuto meno il vaglio preliminare dell’Autorità di Vigilanza in ordine a queste operazioni. Piuttosto, stante il rinvio agli artt. 56 e 57 del Tub, contenuto nel (nuovo) art. 31, comma 3, del Tub, l’obbligo di autorizzazione preventiva si è tramutato in un “accertamento” preventivo, per le operazioni di trasformazione, ed è stato, invece, sostanzialmente mantenuto, con riferimento alle operazioni di fusione.

In particolare, posto che, per definizione, la trasformazione della banca popolare in una società per azioni determina una modificazione statutaria, il rinvio all’art. 56 del Tub implica che non si possa dare corso al procedimento per l’iscrizione nel registro delle imprese di siffatta modificazione se non consti il preventivo accertamento della Banca d’Italia circa l’assenza di contrasti tra la modificazione adottata e la sana e prudente gestione della banca.

Rimane invece necessario, come accennato, un vero e proprio provvedimento autorizzativo da parte della Banca d’Italia per le operazioni di fusione che coinvolgano banche popolari e diano luogo a società per azioni. Il richiamo integrale dell’art. 57 del Tub (in precedenza, correttamente, limitato ai commi 2, 3 e 4) – che, in via generale per tutte le banche, prevede il rilascio di un tale provvedimento quando l’operazione non contrasti con il criterio di una sana e prudente gestione della banca interessata – sembra rendere inequivocabile questa lettura.

Ciò che viene meno non è quindi, si ribadisce, il preventivo vaglio dell’Autorità di Vigilanza in ordine a trasformazioni e fusioni delle banche popolari (nelle forme, rispettivamente, dell’accertamento e dell’autorizzazione e, quindi parzialmente diverse rispetto alle previgenti), bensì i criteri alla stregua dei quali l’Autorità è chiamata a effettuare questo vaglio.

Secondo la precedente formulazione dell’art. 31 del Tub, la Banca d’Italia poteva autorizzare trasformazioni e fusioni (solo) se ciò fosse – in positivo – “nell’interesse dei creditori” ovvero soddisfacesse “esigenze di rafforzamento patrimoniale” ovvero ancora perseguisse “fini di razionalizzazione del sistema”; il metro di valutazione attuale è rappresentato – in negativo – dall’assenza di contrasti tra l’operazione prospettata e il principio di sana e prudente gestione della banca.

Stante la recentissima emanazione della nuova normativa, è evidentemente difficile prevedere se questo cambiamento di prospettiva potrà, in concreto, determinare una maggiore facilità di realizzazione delle operazioni di trasformazione e fusione qui considerate. È tuttavia immaginabile che questo risultato possa conseguire all’obbligo di approvazione con maggioranze assembleari qualificate ma ragionevoli e all’eliminazione dei criteri “di merito” quali criteri sui quali doveva precipuamente incentrarsi la valutazione della Banca d’Italia.

L’eventuale approvazione di operazioni straordinarie consente in ogni caso il diritto di recesso dei soci. Il diritto di rimborso correlato a questo diritto – tanto nel caso in cui questo sia esercitato in relazione a operazioni di trasformazione o, deve ritenersi (in ragione del generico rinvio contenuto nell’art. 31, comma 2, del Tub all’art. 28, comma 2-ter, del Tub), di fusione quanto nell’ipotesi in cui esso consegua a morte o esclusione del socio – può, oggi, essere limitato dalla Banca d’Italia, anche in deroga a norme di legge, “laddove ciò sia necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca”. Ai medesimi fini, l’Autorità può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi (su quest’ultimo punto, cfr. infra).

Questa innovazione anticipa una previsione già contenuta nella “Consultazione pubblica concernente l’attuazione dell’articolo 3 della legge 7 ottobre 2014, n. 154, recante principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2013/36/Ue sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (c.d. Crd IV)”, promossa dal Mef e che si è chiusa lo scorso 15 gennaio 2015. Essa costituisce espressione del principio di c.d. bail-in, di derivazione comunitaria, secondo cui la stabilità di una banca in crisi deve essere in primo luogo preservata attraverso un salvataggio interno, vale a dire ricorrendo alle risorse patrimoniali della banca stessa e quindi, indirettamente, dei suoi soci.

2.2 Nuove regole di diritto societario e possibili impatti sulla governance

Fino all’entrata in vigore del Decreto, le regole di diritto societario applicabili a tutte le banche cooperative, vale a dire sia alle banche popolari sia alle banche di credito cooperativo, in ragione della disapplicazione di specifiche previsioni del codice civile erano sostanzialmente allineate, salvo che per taluni (limitati) aspetti specificamente riferiti alle sole banche popolari (i.e. disposizioni del codice civile che disciplinano le caratteristiche della mutualità prevalente; norme in materia di trasferimento di azioni).
Queste regole consentivano alle banche cooperative (per effetto delle modificazioni apportate al Tub dal d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310, recante integrazioni e correzioni alla disciplina del diritto societario ed al testo unico in materia bancaria e creditizia) di avvalersi, nei limiti della compatibilità con la disciplina speciale contenuta nel Tub, solo di alcune delle opportunità introdotte dalla riforma del diritto societario.
Questa impostazione viene modificata e si crea un doppio regime: per le banche di credito cooperativo, l’impianto normativo resta immutato (cfr. art. 150-bis, comma 1, del Tub); per le banche popolari, cambiano alcuni dei rinvii alle disposizioni del codice civile disapplicate (cfr. art. 150-bis, comma 2, del Tub); ne discende che queste banche possono, oggi, usufruire di un maggior numero di istituti introdotti nell’ordinamento dalla riforma del diritto societario.
In particolare, trovano ora applicazione (in quanto non più disapplicate) con riferimento alle banche popolari (ma non anche alle banche di credito cooperativo) alcune disposizioni del codice civile riguardanti l’emissione di strumenti finanziari, l’elezione dei componenti degli organi sociali e la rappresentanza in assemblea.
Con riferimento all’emissione di strumenti finanziari, le banche popolari ora:

  1. possono emettere strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti, a seguito dell’apporto da parte di soci o di terzi anche di opera o servizi.
    Lo statuto deve disciplinare le modalità e le condizioni di emissione di questi strumenti, i diritti che essi conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la relativa legge di circolazione (art. 2346, comma 6, c.c.);
  2. in conformità alle regole su soci finanziatori e altri sottoscrittori di titoli di debito, possono prevedere nell’atto costitutivo l’emissione di strumenti finanziari, secondo la disciplina dettata per le società per azioni (art. 2526 c.c.).
    L’atto costitutivo deve stabilire i diritti patrimoniali o anche amministrativi attribuiti ai possessori di questi strumenti finanziari e le eventuali condizioni cui è sottoposto il loro trasferimento. I privilegi previsti nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale non si estendono alle riserve indivisibili (ex art. 2545-ter c.c.).
    Ai possessori di questi strumenti finanziari non può, in ogni caso, essere attribuito più di un terzo dei voti spettanti all’insieme dei soci presenti ovvero rappresentati in ciascuna assemblea generale. Il recesso dei possessori di strumenti finanziari forniti del diritto di voto è disciplinato dagli artt. 2437 e ss.La cooperativa cui si applicano le norme sulla società a responsabilità limitata può offrire in sottoscrizione strumenti privi di diritti di amministrazione solo a investitori qualificati;
  3. nel caso in cui abbiano emesso strumenti finanziari privi di diritti di voto, devono istituire assemblee speciali dei possessori di questi strumenti.

L’assemblea speciale di ciascuna categoria delibera circa: 1) l’approvazione delle deliberazioni dell’assemblea della società cooperativa che pregiudicano i diritti della categoria; 2) l’esercizio dei diritti ad essa eventualmente attribuiti ai sensi dell’art. 2526 c.c.; 3) la nomina e la revoca dei rappresentanti comuni di ciascuna categoria e l’azione di responsabilità nei loro confronti; 4) la costituzione di un fondo per le spese, necessario alla tutela dei comuni interessi dei possessori degli strumenti finanziari e il rendiconto relativo; 5) le controversie con la società cooperativa e le relative transazioni e rinunce; 6) gli altri oggetti di interesse comune a ciascuna categoria di strumenti finanziari. L’assemblea speciale è convocata dagli amministratori della società cooperativa o dal rappresentante comune, quando lo ritengano necessario o quando almeno un terzo dei possessori degli strumenti finanziari ne faccia richiesta. Il rappresentante comune deve provvedere all’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea speciale e deve tutelare gli interessi comuni dei possessori degli strumenti finanziari nei rapporti con la società cooperativa. Questi ha altresì il diritto di esaminare i libri di cui all’art. 2421, nn. 1) e 3), c.c. e di ottenere estratti nonché di assistere all’assemblea della società cooperativa e di impugnarne le deliberazioni (art. 2541 c.c.).

Quanto alla nomina degli organi sociali, le banche popolari ora:

  1. devono prevedere che la nomina degli amministratori spetti all’assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori che sono nominati nell’atto costitutivo e fermo restando quanto previsto dall’art. 2542, comma 5, c.c. (art. 2542, comma 1, c.c.). Pertanto, cade la regola secondo cui la maggioranza degli amministratori doveva essere scelta tra i soci cooperatori ovvero tra le persone indicate dai soci cooperatori persone giuridiche (2542, comma 2, c.c.);
  2. possono prevedere, a livello statutario, che i possessori di strumenti finanziari dotati di diritti di amministrazione possono eleggere nel complesso sino a un terzo dei componenti dell’organo di controllo (art. 2543, comma 3, c.c.);
  3. se è stato adottato un sistema di amministrazione e controllo dualistico, devono prevedere che i possessori di strumenti finanziari non possono eleggere più di un terzo dei componenti del consiglio di sorveglianza e più di un terzo dei componenti del consiglio di gestione. Inoltre, in questo caso, gli amministratori eletti dai possessori di strumenti finanziari, nella misura indicata, non possono essere destinatari di deleghe operative né far parte del comitato esecutivo (art. 2544, comma 2, primo periodo e comma 3, c.c.).

Coerentemente con quanto precede, viene abrogato l’art. 29, comma 3, del Tub, ai sensi del quale “la nomina dei membri degli organi di amministrazione e controllo spetta esclusivamente ai competenti organi sociali”. Ciò consente di riservare il potere di nomina di amministratori e sindaci ai possessori di specifiche tipologie di strumenti finanziari.

Per quanto attiene, infine, alla partecipazione in assemblea, le banche popolari:

  1. possono ora prevedere che l’atto costitutivo attribuisca ai soci cooperatori persone giuridiche più voti, ma non oltre cinque, in relazione all’ammontare della quota oppure al numero dei loro membri (art. 2538, comma 3, c.c.). Per inciso, sorprende che questa variazione non sia accompagnata da una modifica dell’art. 30, comma 1, del Tub, che continua a prevedere (senza deroghe e senza fare salva l’applicazione dell’art. 150-bis, comma 2, del Tub) il principio del voto capitario; e
  2. devono determinare, a livello statutario, il numero massimo di deleghe che possono essere conferite a un socio, tenuto conto che, in deroga a quanto previsto dall’art. 2539 c.c., questo numero non deve essere inferiore a 10 né superiore a 20.

Le variazioni apportate dal Decreto alle regole di diritto societario applicabili alle banche popolari hanno potenzialmente la capacità di             incidere in modo molto significativo sulla partecipazione alla governance di queste banche perché si riflettono, anzitutto, sui soggetti deputati a scegliere i componenti degli organi di amministrazione e controllo e sui soggetti che possono essere nominati amministratori.
Sotto il primo profilo (soggetti cui compete il potere di nomina), la nomina degli amministratori è riservata all’assemblea e, al tempo stesso, in assemblea possono sedere soggetti che dispongono di più di un voto (soci cooperatori-persone giuridiche o possessori di strumenti finanziari partecipativi cui sia riservato l’esercizio di un terzo dei voti spettanti all’insieme dei soci presenti o rappresentati in ciascuna assemblea generale), fatti salvi i poteri dei possessori di strumenti finanziari in caso di adozione del sistema dualistico, e la nomina di un terzo dei componenti dell’organo di controllo può essere effettuata dai possessori di strumenti finanziari, anche in caso di adozione del sistema dualistico. Dal secondo punto di vista (soggetti che possono essere nominati amministratori), non sussiste più il vincolo alla nomina dei soci cooperatori ovvero delle persone indicate dai soci cooperatori-persone giuridiche quali amministratori della banca.
Appare difficile stimare se gli impatti di siffatte modificazioni sulla governance delle banche popolari saranno stravolgenti, specie considerando che la struttura proprietaria delle (restanti) banche popolari rimane comunque ingessata entro i confini derivanti dal mantenimento delle norme sui limiti massimi al possesso azionario, contenute nell’art. 30 del Tub.
Inoltre, la possibilità di emissione di differenti tipologie di strumenti finanziari, siano essi strumenti “partecipativi” ovvero strumenti “di debito”, lascia ampi spazi di espressione all’autonomia statutaria, attesa la facoltatività della stessa scelta di procedere all’emissione di questi strumenti (in ipotesi, una banca popolare potrebbe scegliere di emettere solo strumenti ex art. 2526 c.c. e solo per esigenze di finanziamento) e considerata altresì la varietà di diritti patrimoniali e anche amministrativi che possono essere riconosciuti ai rispettivi possessori.

Le principali innovazioni del regime applicabile alle (restanti) banche popolari saranno quindi apprezzabili alla luce delle concrete modalità con le quali queste banche decideranno di esercitare le discrezionalità ad esse riconosciute.