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Strani incroci tra conflitti e astensioni

I comportamenti dell’amministratore in conflitto: le norme speciali del Tub e del Tuf impongono nuovi adempimenti al consiglio di amministrazione. Ecco alcune incongruenze con il diritto comune.

Marco Tofanelli
Tofanelli

La l. n. 154/14 (c.d. legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre), recante le deleghe al Governo necessarie per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità Europea, contiene fra l’altro, all’articolo 3, i principi e criteri direttivi per l’attuazione del c.d. “pacchetto Crd 4” (Regolamento 575/2013 e Direttiva 2013/36/Ue che, come noto, si sarebbe dovuta applicare dal 1° gennaio 2014. Conseguentemente, l’Italia è stata messa in mora dalla Commissione europea con lettera in data 27 gennaio 2014; la Banca d’Italia, comunque, nell’esercizio dei poteri conferitile dal Tub, aveva già avviato l’attuazione di tale disciplina con la Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, la quale ha poi costituito oggetto di più aggiornamenti nel corso del corrente anno).

La delega, che il Governo deve attuare nel termine di tre mesi dall’entrata in vigore della citata legge incide, tra l’altro, sulle materie, regolate dal Tub e dal Tuf, relative ai requisiti dei partecipanti al capitale e degli esponenti aziendali e alla disciplina dei relativi conflitti di interesse.

Mi limito a commentare brevemente tali materie, disciplinate ora da uno schema di decreto legislativo del Mef, di attuazione della delega, attualmente in consultazione.
Con riferimento ai requisiti dei partecipanti al capitale e degli esponenti aziendali – ricordando che la Banca d’Italia era già parzialmente intervenuta in materia (e si veda il provvedimento del 6 maggio 2014, trasfuso nella Parte I, Titolo IV, Capitolo 1, della Circolare n. 285 citata) -, con lo schema di decreto legislativo in consultazione si introducono ora nel Tub e nel Tuf le necessarie previsioni di rango primario, le quali dovranno poi trovare ulteriore attuazione in successivi provvedimenti adottati ratione materiae dalla Banca d’Italia e dalla Consob conformemente alle linee guida dell’Eba – e rilevano sia gli orientamenti già adottati dall’Eba nel novembre 2012, sinora non recepiti, sulla valutazione dell’idoneità dei membri dell’organo di gestione e del personale che riveste ruoli chiave in una banca, sia gli orientamenti che l’Eba dovrà adottare entro il 31 dicembre 2015, ai sensi dell’art. 91, par. 12, della Crd 4 – ed alle norme tecniche della Commissione europea di attuazione della Crd 4.

Intanto, si evidenzia la scelta di demandare direttamente alle autorità indipendenti di settore il compito di determinare i requisiti dei detentori di partecipazioni rilevanti e degli esponenti aziendali, spogliando così delle relative competenze il Ministro dell’economia e delle finanze, attribuendo alla Banca d’Italia la determinazione dei requisiti dei partecipanti al capitale e degli esponenti aziendali delle banche, delle società capogruppo, degli intermediari finanziari, degli istituti di moneta elettronica e degli istituti di pagamento, nonché alla competenza (questa volta) congiunta della Banca d’Italia e della Consob, quella sulle Sim, sulle Sgr, le Sicav e le Sicaf.

Tale scelta dipende in buona sostanza dal fatto che la normativa comunitaria richiede di definire ora con un elevato grado di dettaglio non più soltanto requisiti di onorabilità e di generica professionalità, bensì anche criteri di competenza e correttezza per i partecipanti al capitale e criteri di concreta idoneità a svolgere l’incarico per gli esponenti aziendali, tenendo conto delle loro professionalità e della loro disponibilità di tempo.

Parallelamente alla definizione di requisiti e criteri analitici, le autorità indipendenti vengono dotate anche di poteri più pervasivi di vigilanza sino alla previsione del potere, attribuito alla Banca d’Italia, di rimuovere uno, più o anche collettivamente tutti i componenti degli organi aziendali.

Procedendo per gradi, una prima novità concerne l’introduzione di nuovi requisiti per i detentori di partecipazioni qualificate i quali, oltre ai requisiti di onorabilità, dovranno soddisfare anche, come accennato, criteri di competenza e correttezza. I criteri di competenza dovranno essere graduati in relazione all’influenza sulla gestione esercitabile dal titolare della partecipazione; i criteri di correttezza dovranno essere individuati con riguardo, tra l’altro, alle relazioni d’affari del partecipante, alle condotte tenute nei confronti delle autorità di vigilanza ed alle sanzioni o misure correttive da queste irrogate, ai provvedimenti restrittivi inerenti alle attività professionali svolte e ad ogni altro elemento utile.

Quindi, rispetto al regime attuale si assisterà ad un ampliamento dei casi in cui potrà essere inibito il possesso di una partecipazione rilevante, atteso che dovranno essere valutati, come visto, oltre ad eventuali reati, anche le infrazioni sanzionate per via amministrativa, le relazioni d’affari, le competenze ed ogni altro elemento utile. La misura di tale ampliamento dipenderà dal modo concreto in cui la Banca d’Italia e la Consob, e prima ancora la Commissione europea (cui è demandata l’elaborazione di norme tecniche di regolamentazione in materia), faranno uso del potere di declinare i nuovi criteri di valutazione della reputazione dei titolari di partecipazioni rilevanti.

Modifiche di segno analogo interessano i requisiti degli esponenti aziendali, ossia oggi dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione ma anche di direzione e di controllo.
Questi soggetti, infatti, devono ora risultare idonei all’incarico, e l’idoneità consiste, oltre che nel possesso di requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza, anche nella capacità di soddisfare criteri di competenza e correttezza e di dedicare il tempo necessario all’efficace espletamento dell’incarico, al fine di garantire la sana e prudente gestione dell’ente. La determinazione di tali requisiti e criteri è ora demandata, come accennato, alla competenza delle autorità indipendenti di settore, le quali dovranno stabilire, conformemente ai criteri indicati nell’art. 91 della Crd 4, nonché agli orientamenti dell’Eba in materia: requisiti di onorabilità omogenei per tutti gli esponenti; requisiti di professionalità e indipendenza graduati secondo principi di proporzionalità; criteri di competenza coerenti con la carica da ricoprire e con le caratteristiche dell’intermediario, nonché criteri di adeguata composizione dell’organo; criteri di correttezza (solo per le banche e per le Sim), con riguardo, tra l’altro, alle relazioni d’affari dell’esponente, alle condotte tenute nei confronti delle autorità di vigilanza e alle sanzioni o misure correttive da queste irrogate, a provvedimenti restrittivi inerenti ad attività professionali svolte, nonché a ogni altro elemento suscettibile di incidere sulla correttezza dell’esponente; limiti al cumulo di incarichi, anche qui solo per gli esponenti delle banche e delle Sim, graduati secondo principi di proporzionalità.

Sensibilmente ampliati i poteri di intervento delle Autorità di vigilanza, in particolare quelli della Banca d’Italia, laddove è ora previsto che possa disporre la rimozione di uno o più esponenti aziendali qualora la loro permanenza in carica sia di pregiudizio alla sana e prudente gestione.
Mi soffermo, peraltro, sulla disciplina dei conflitti di interesse. Al riguardo, viene posto a carico dei soci e degli amministratori delle banche e dei soggetti abilitati l’obbligo di astenersi dalle deliberazioni nelle quali abbiano “un interesse, per conto proprio o di terzi” (art. 53, comma 4, del Tub), ovvero “un interesse in conflitto, per conto proprio o di terzi” (art. 6, comma 2-novies, del Tuf).

Qui il legislatore innova profondamente, non impeccabilmente.
Il “vecchio” testo dell’art. 2391 c.c. imponeva all’amministratore che, con riguardo ad una determinata operazione, avesse un interesse in conflitto con quello della società amministrata, di darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, nonché di astenersi dal partecipare alla deliberazione riguardante l’operazione stessa; l’attuale art. 2391 c.c. dà come noto rilievo (anzitutto al fine di imporne la comunicazione ad amministratori e collegio sindacale) non più ai soli interessi che l’amministratore abbia in una determinata operazione che si pongano in conflitto con l’interesse sociale, ma ad “ogni interesse”, e perciò anche a quelli compatibili o addirittura coincidenti con quello sociale; ma non deve astenersi (salvo che sia l’amministratore delegato). Vi è una ratio: molto in breve, da un lato l’amministratore non è più ghettizzato, perché se anche abbia un interesse, proprio o in conflitto, non deve astenersi; al contempo, deve fornire un’informazione circostanziata, al di là dell’esistenza o meno di un conflitto tra il proprio interesse e quello della società.
Ora, la previsione dell’obbligo di astensione, riferita però ad ogni interesse, costituisce una norma speciale che deroga alle disposizioni del codice civile, ma in buona sostanza addirittura neglette le motivazioni che hanno portato alla modifica della norma di diritto comune; delle due, direi, se ne scelga una. Inoltre, non si comprende perché ciò valga per il Tub e non anche per il Tuf; non volendo pensare ad refuso, è difficoltosamente comprensibile.

In ogni caso, con riguardo, in particolare, alle deliberazioni assembleari, l’art. 2373 c.c. prevede l’annullabilità della deliberazione adottata con il voto determinante del socio in conflitto d’interessi qualora dalla stessa possa derivare un danno alla società. La previsione, ora, del menzionato obbligo di astensione dalla deliberazione non sembra modificare tale regime, in quanto la deliberazione rimane comunque impugnabile soltanto se il voto del socio in conflitto d’interessi sia risultato determinante e se la deliberazione sia suscettibile di arrecare concretamente danno alla società. La violazione dell’obbligo di astensione dalla deliberazione costituisce comunque un inadempimento del socio.

Con riguardo, poi, alle deliberazioni consiliari, anche in questo caso l’introduzione dell’obbligo di astensione dalla deliberazione non sembra incidere sul regime di impugnabilità della stessa. Ai sensi, infatti, del citato art. 2391, la deliberazione consiliare può essere impugnata dagli amministratori e dal collegio sindacale, ora come prima, soltanto se il voto dell’amministratore interessato sia risultato determinante e se dall’esecuzione della deliberazione possa derivare un danno alla società. La violazione dell’obbligo di astensione configurerebbe comunque un inadempimento dell’amministratore valutabile ai fini dell’eventuale revoca del medesimo dalla carica.

La norma impone al socio o all’amministratore di astenersi“dalle deliberazioni”. Tale obbligo si dovrebbe tradurre, nella sostanza, in un divieto contingente di votare nella specifica deliberazione in cui l’uno o l’altro siano portatori di un interesse per conto proprio o di terzi. Non dovrebbe venire meno, pertanto, il diritto del socio o dell’amministratore di intervenire nella riunione, e non solo per palesare – doverosamente – l’interesse nell’operazione, ma anche per illustrare eventualmente la non dannosità di questa per la società (il che rileva soprattutto per l’amministratore, il quale, a differenza del socio, ha l’obbligo di perseguire l’interesse della società.

Sarebbe opportuno riguardare bene dunque la definizione dell’interesse o quella del comportamento; da un lato, in chiave armonica nell’ambito del diritto speciale, perché è di difficoltosa comprensione la disciplina differente che sarebbe dettata dal Tub e dal Tuf e, dall’altro, in chiave armonica con il diritto comune tenendo presente che proprio l’art. 3, comma 1, lett. f) della Legge Delega n. 154/2014, demanda al Governo il compito di, “al fine di assicurare l’efficace recepimento della Direttiva 2013/36/UE e del regolamento (Ue) n. 575/2013 nonché di rafforzare i presidi relativi ai conflitti di interessi degli intermediari e a tutela delle esigenze di trasparenza e correttezza sostanziale, stabilire a carico dei soci e degli amministratori degli intermediari l’obbligo di astenersi dalle deliberazioni in cui abbiano un interesse in conflitto”. Sembra sufficientemente chiaro.