approfondimenti/politica economica
Quando il tasso è sottozero

Saggi di interesse negativi per i depositi presso la Bce. Per spingere le banche a impiegare liquidità nel sistema. Ma il trend si estende al mercato interbancario. Con il rischio che raggiunga risparmiatori e mutui. In un ordinamento che non prevede il segno meno…

Alfonso Parziale
Alfonso Parziale

Uno spettro si aggira per l’Europa ma, saranno i tempi che corrono, non si tratta di folle inferocite ma di una questione relativa ai tassi di interesse. Ebbene, dopo anni di crescita ai livelli minimi – con molti Paesi dell’Eurozona caduti nel vortice della deflazione – il costo della remunerazione del denaro ha finito per invertire il proprio segno, ed oramai da qualche mese la Banca centrale europea si fa letteralmente pagare dalle altre banche a fronte del deposito del denaro presso l’istituto di Francoforte.

Questo fenomeno, detto di “tassi di interesse negativi” (negative interest rates), si è palesato con la fissazione da parte della Banca centrale europea, a partire dal mese di giugno 2014, di un tasso di interesse sui depositi che le altre banche effettuano presso l’istituto centrale pari a -0.1%, (se deposito presso la Bce 100 euro, la banca me ne restituirà 99.9!). Il tasso è stato poi ulteriormente abbassato a settembre ed ha toccato “quota” -0.2%.

Questa iniziativa costituisce un estremo tentativo dell’organismo di regolazione di spingere le banche ad impiegare la grande liquidità presente nel sistema, sull’esempio di quanto avvenuto in Danimarca qualche anno fa. Depositare denari presso la Bce non conviene più: in effetti, il capitale versato viene pian piano eroso dall’interesse negativo, che si sottrae (e non si aggiunge) alle somme depositate, e ciò dovrebbe indurre gli operatori a tentare di impiegare il denaro in altri modi, ad esempio prestandolo alle imprese.

L’applicazione di questi tassi “negativi” (cioè a carico della parte che normalmente percepisce interessi) ha avuto effetto anche sul c.d. mercato interbancario, ovvero sul luogo nel quale gli operatori professionali si riforniscono della provvista, in altre parole dove ottengono il denaro necessario per le proprie operazioni. Anche in questo caso, l’effetto dei tassi negativi proposti dalla Bce è stato un ulteriore abbassamento dei saggi di interessi praticati, che hanno sfondato la soglia rappresentata dallo zero.

Dapprima, il tasso di interesse per le operazioni a brevissimo termine, detto Eonia (Euro OverNight Index Average) ha “picchiato” sotto lo zero, dopodiché è stata la volta di alcuni indicatori più famosi presso il grande pubblico, e cioè sulla famiglia di tassi Euribor (Euro InterBank Offered Rate), che misurano l’interesse praticato per operazioni tra le principali banche europee dalla diversa scadenza (una settimana, un mese, tre mesi…).

Poiché la situazione economica non si è ancora stabilizzata, non è impossibile che il trend continui e che il fenomeno possa avere impatti anche sui rapporti tra le banche ed il pubblico dei risparmiatori. In effetti, per fare un esempio, chi ha un mutuo a tasso variabile con una banca sa che il tasso di interesse applicabile si calcola sommando al tasso Euribor (di solito a uno o tre mesi) uno spread percentuale. C’è quindi la possibilità che il fenomeno comporti un abbassamento dei tassi applicati su mutui, aperture di credito, etc. etc.. Le prospettive più rosee per imprese e risparmiatori si scontrano però con una domanda: l’ordinamento italiano ammette tassi di interesse “negativi”?

Per la verità, le regole del nostro codice civile sono state concepite senza prendere in considerazione la possibilità di un tasso di interesse a carico di chi presta (o deposita) denaro. I codificatori del 1942, peraltro, hanno ricompreso l’interesse su capitale tra i c.d. “frutti civili”, con una terminologia che ci riporta a tempi lontani e ben più ordinari, in cui chi prestava denaro intendeva riceverne un compenso (e non un onere). E, d’altronde, la quasi totalità dei contratti sottoscritti tra banche e clienti prevedono testualmente la corresponsione di interessi da parte di questi ultimi, e non viceversa.

Come affrontare, quindi, questo vero e proprio “inverno dei tassi di interesse”? I formulari più recenti delle banche, da impiegare per i rapporti futuri, sembrano essere stati già attrezzati per affrontare il problema in favore del creditore. In effetti, sulla scorta di quanto proposto dalla Loan Market Association inglese, nei modelli impiegati dagli operatori comincia a comparire una clausola che prevede che il tasso Euribor, qualora sconfini in senso negativo, debba essere considerato come uno “zero” (c.d. clausola floor).

In aggiunta, è bene ricordare che nei contratti a tempo indeterminato tra banche e clienti, regolati con tasso variabile, è applicabile l’articolo 118 del Testo Unico Bancario, che consente a ciascun istituto, secondo le modalità previste dalla legge, di modificare unilateralmente il contratto ed inserire quindi, per “sanare” la situazione, un limite verso il basso al tasso di interesse praticato.

Per completare la ricognizione, infine, occorre segnalare che alcune banche, in ordinamenti diversi dal nostro, stanno già cercando di ribaltare i costi derivanti dai tassi di interesse negativi sui clienti e, quindi, alcuni contratti di deposito di nuova formulazione già prevedono la corresponsione di un “interesse negativo”, cioè dell’espresso obbligo per il cliente di corrispondere un interesse a favore della banca a fronte del servizio di deposito prestato. Pro futuro, quindi, la soluzione più gettonata sembra essere quella di aggirare il problema.

Fermo restando quanto detto sinora, residuano però un numero significativo di rapporti (in particolare mutui e finanziamenti) ai quali i meccanismi sopra indicati non sembrano potersi applicare. In questi casi, come occorrerà comportarsi? Sul punto, si può registrare solo il silenzio delle associazioni di categoria e della dottrina; non si rinvengono inoltre precedenti storici in tema di tassi negativi, ed è abbastanza complicato sbilanciarsi. In caso di future contestazioni dovranno essere i giudici a doversi esprimere ma, come dimostrato in tanti casi recenti (tra cui garanzie autonome, swaps, obblighi di comportamento degli intermediari), in Italia la giurisprudenza in materia finanziaria è spesso ondivaga.

Insomma, il futuro è buio o, quantomeno, incerto; al momento è parso più utile procrastinare ed attendere che il problema si verifichi in concreto. In attesa di pronunciamenti, però, qualcosa si può dire, prendendo a riferimento precedenti similari, se non altro per stimolare un dibattito che sembra sempre più urgente e necessario.

In prima battuta, si può ricordare che la giurisprudenza italiana ha già avuto modo di esprimersi in tema di tassi variabili, affermandone la legittimità, purché le modalità di calcolo siano univoche, comprensibili e non rimesse all’arbitrio di una parte. Di conseguenza, si potrebbe ritenere che una clausola “Euribor + spread” possa considerarsi valida anche quando uno dei due addendi sia negativo.

E’ bene inoltre evidenziare che tale conclusione non comporterebbe, di per sé, l’applicazione al contratto di un tasso di interesse negativo. Infatti, finché lo spread risulterà maggiore dell’Euribor, nel contratto sarà sempre prevista la corresponsione di un interesse a carico del debitore. Resterebbe dunque irrisolta la questione – per la verità di più remota applicazione – di tassi di interesse negativi applicabili al contratto (es. la rata del mutuo prevede la corresponsione di interessi pari a -1%).

Come si può interpretare un caso come quello sopra rappresentato? Si può forse osservare che il regolamento del contratto sembrerebbe quasi “non funzionare”, non riuscire cioè a raggiungere lo scopo che le parti hanno prefissato: nonostante l’idea di un tasso negativo possa sembrare allettante per molti debitori, in effetti, l’operazione economica alla base di un contratto di mutuo oneroso (godimento del denaro per uno, interesse per l’altro) sembrerebbe proprio non contemplare l’ipotesi che il beneficiario del denaro possa anche giovarsi della corresponsione di un interesse.

Si tratta di uno dei possibili punti di vista dai quali osservare il fenomeno, ricordando inoltre che nel diritto italiano si possono individuare ulteriori rimedi astrattamente applicabili, ad esempio quando il sinallagma di un rapporto contrattuale subisce un importante e non previsto sbilanciamento, o quando uno dei comuni presupposti delle parti che hanno portato alla stipula del contratto viene meno. Il dibattito, però, è solo all’inizio, le opzioni interpretative sono variegate e non è detto che, stavolta, gli interpreti possano individuare soluzioni totalmente innovative per affrontare il mondo di sottosopra dei tassi di interesse.