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Pubblico e privato nella vigilanza sul sistema finanziario e creditizio: gli organismi di tenuta degli elenchi di consulenti finanziari, mediatori creditizi e confidi

La progressiva specializzazione nella vigilanza su attività ancillari rispetto a quella bancaria e di intermediazione finanziaria ha suggerito al legislatore l’introduzione di organismi di vigilanza con personalità giuridica di diritto privato. Non può dubitarsi, tuttavia, che si tratti di enti – il termine è volutamente generico – che svolgono funzioni di pubblico interesse. La natura mista degli “organismi” per la tenuta di albi ed elenchi impone di riconsiderare alcune categorie classiche in materia di vigilanza finanziaria. Questo breve articolo non ha altra ambizione che quella di isolare alcune questioni. Si tratta, in particolare, di quelle concernenti la natura ibrida dei soggetti con funzioni di vigilanza, delle forme in cui l’attività di vigilanza può essere esercitata (solo informativa?) e della tutela giurisdizionale dei vigilati.

Edoardo Rulli
Rulli

Il dato normativo

L’avvento e la progressiva diffusione di organismi di diritto privato con funzioni di controllo sull’esercizio di alcune attività finanziarie sono, ormai, un fatto. E, verrebbe da dire, si tratta di un fatto normativo, essendo tali soggetti espressamente previsti dalla legge. Anche la vigilanza, quindi, si avvia a conoscere una sua “stagione dell’atipico”.

Il riferimento cade, per quanto qui di interesse, sugli organismi previsti dal testo unico della finanza e dal testo unico bancario:

– l’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (OCF) previsto dall’art. 31 t.u.f., che esiste invero già da molti anni (2007), anche se significativamente ha assunto la denominazione corrente, che include il termine “di vigilanza”, solo con la legge di stabilità 2016 (l. 208/2015 dello scorso 30 dicembre), e che prima si denominava Organismo per la tenuta dell’albo dei promotori finanziari (APF);

– l’Organismo previsto dall’art. 113 t.u.b., destinato a tenere l’elenco del microcredito;

– l’Organismo per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (OAM) previsto dall’articolo 128 undecies t.u.b.;

– e, da ultimo, ma non per importanza, l’Organismo per la tenuta dell’elenco dei confidi previsto dall’art. 112 bis t.u.b., come modificato dal d.lgs. 169/2012.

Una natura giuridica ibrida, anzi superibrida

Tutti i soggetti indicati sono definiti dalla legge “organismi” di diritto privato, che prendono forma associativa.

Si veda, sul punto, l’art. 31 t.u.f. ove si stabilisce che l’OCF (già APF) «ha personalità giuridica ed è ordinato in forma di associazione, con autonomia organizzativa e statutaria». Si tratta, però, di un’associazione in tutto particolare non solo in quanto prevista dalla legge, ma perché da questa dotata di personalità giuridica.

Analogamente:

– l’OAM, introdotto dall’art. 128 undecies t.u.b., è definito dall’art. 1 del suo statuto: «organismo avente personalità giuridica di diritto privato e ordinato in forma di associazione»;

– l’Organismo relativo ai confidi di cui all’art. 112 bis t.u.b. a sua volta è definito dalla legge: «organismo, avente personalità giuridica di diritto privato, con autonomia organizzativa, statutaria e finanziaria».

Già la denominazione di organismi tradisce la natura ibrida di questi soggetti. È noto come il termine, nel settore finanziario, sia da lungo tempo utilizzato in tutt’altro senso, per identificare gli organismi di investimento collettivo del risparmio che sono soggetti – rectius: oggetti, nel caso dei fondi – che l’ordinamento deputa alla funzione, tipicamente privata, di “investimento collettivo”. La differenza tra questi e quegli organismi è allora evidentissima e non solo quanto alla forma esteriore, ma soprattutto con riguardo alla causa.

Il termine, nel contesto degli organismi per la tenuta di elenchi, assume quindi una nuova tipicità e nessuna indicazione di carattere storico-interpretativo può trarsi dal nome che ad essi l’ordinamento ha assegnato.

Del resto, la forma in cui i nuovi organismi devono “incorporarsi” è sì privata e associativa, ma a tutti la legge riconosce attributi che non sono propri delle associazioni (almeno di quelle non riconosciute):

– personalità giuridica;

– esercizio di funzioni pubblicistiche (i.e. tenuta di elenchi e vigilanza);

– capacità impositiva, dovendo questi organismi non solo “riscuotere” (questo il verbo utilizzato sia nel t.u.f. che nel t.u.b.) i “contributi” dagli iscritti, ma anche, in alcuni casi, determinarne l’importo.

Sotto il terzo profilo, si veda, in particolare, l’art. 7 del d.m. Finanze 23.12.2015 n. 228, ove è previsto che i contributi dei confidi siano stabiliti dall’Organismo ex 112 bis t.u.b. «nella misura necessaria per garantire lo svolgimento delle proprie attività e, comunque, entro il limite del cinque per mille dell’ammontare delle garanzie concesse da ciascun confidi e risultante dall’ultimo bilancio approvato».

Il principio seguito dal legislatore è, evidentemente, quello dell’autofinanziamento.

Le considerazioni che precedono paiono dimostrare, anche se è troppo presto per giungere a conclusioni sul punto, che siamo di fronte a soggetti la cui natura, vista con le tradizionali categorie pubblico/privato, è superibrida.

Tenere un elenco è vigilare?

Il compito principale ma, come si dirà, non esclusivo che la legge affida a OCF, OAM e Organismo ex 112 bis t.u.b. consiste nella tenuta e gestione dei rispettivi elenchi di operatori.

E, così:

– l’OCF provvede alla tenuta dell’albo (art. 31, co. 4, t.u.f.), il quale è suddiviso in tre sezioni (i) dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, (ii) dei consulenti autonomi, c.d. consulenti fee only e (iii) delle società di consulenza;

– l’OAM tiene gli elenchi (i) degli agenti in attività finanziaria ex art. 128 quater t.u.b.; (ii) dei mediatori creditizi ex art. 128 sexies t.u.b., nonché (iii) il registro dei cambiavalute ex art. 17 bis, co. 1, d.lgs. 141/2010;

– l’Organismo ex 112 bis t.u.b., le cui funzioni sono state di recente specificate dal citato d.m. 228/2015, gestisce l’elenco e provvede alla sua pubblicità.

In un sistema come quello venutosi a delineare tenere un elenco significa, anche, vigilare. Non si tratta della vigilanza di ultima istanza, che compete comunque alle autorità amministrative a ciò deputate, come Banca d’Italia e Consob. E, tuttavia, l’attività di controllo demandata agli organismi potrebbe essere definita come una vigilanza di secondo grado, che si giustifica per due ordini di ragioni:

– conseguire una maggiore specializzazione del sistema dei controlli;

– razionalizzare i costi di vigilanza che, in questo modo, sono (almeno in parte) esternalizzati e posti a carico dei vigilati (la tendenza al burden sharing è, ormai, una caratteristica dell’ordinamento finanziario europeo: vedasi la BRRD in materia di fondi di risoluzione).

Se questa tecnica, come è auspicabile, funzionerà, potrà ridursi la distanza tra vigilante e vigilato, con la creazione di una forma attenuata di self supervision (non anche self regulation, per quanto si dirà)che dovrebbe consentire maggiore partecipazione a un minor costo (pubblico).

Ove non si condivida l’assunto secondo cui tenere un albo (e quindi esercitare un controllo all’accesso a un’attività) integri una forma di vigilanza in senso proprio, non si potrà dubitare che l’attività di questi organismi comprenda, comunque, penetranti poteri di controllo.

A seguito delle modifiche introdotte con la legge di stabilità 2016, nessun dubbio può residuare circa i poteri di controllo dell’OCF. In disparte dal fatto che la novella ha rinominato l’ente “organismo di vigilanza” (oltre che “di tenuta dell’albo”), il nuovo OCF dispone, ai sensi dell’art. 18 bis t.u.f., di poteri (i) di iscrizione nell’albo ove ne ricorrano i presupposti (c’è, quindi, una valutazione, ancorché vincolata); (ii) di vigilanza in senso stretto con riguardo all’osservanza delle regole di condotta dei consulenti (con possibilità di sospendere o radiare i consulenti); (iii) di vigilanza informativa, nonché di (iv) vigilanza ispettiva, potendo l’organismo effettuare ispezioni e richiedere agli iscritti l’esibizione di documenti, il compimento degli atti necessari, nonché procedere ad audizione personale (v. art. 18 bis, co. 6, lett. f).

L’Organismo ex art. 112 bis t.u.b. non solo tiene l’albo, ma può: «disporre la cancellazione dall’elenco: a) qualora vengano meno i requisiti per l’iscrizione; b) qualora risultino gravi violazioni normative; c) per il mancato pagamento del contributo […]; d) per l’inattività dell’iscritto protrattasi per un periodo di tempo non inferiore a un anno». Peraltro, ai sensi dell’art. 112 bis, co. 5, esso «può imporre agli iscritti il divieto di intraprendere nuove operazioni o disporre la riduzione delle attività per violazioni di disposizioni legislative o amministrative che ne regolano l’attività». Si tratta di poteri certamente penetranti, che si connotano per l’essere poteri di vigilanza che comprendono l’esercizio di discrezionalità tecnica. Ove mai un dubbio residuasse, peraltro, sulla qualificazione di tali poteri, basterebbe rinviare ai regolamenti attuativi: si veda, sul punto, l’art. 11 del d.m. Finanze 228/2015 più volte citato che definisce i poteri dell’Organismo di tenuta dell’albo dei confidi “di vigilanza informativa” e “ispettiva” (analogamente, per l’OAM, v. art. 128 undecies, co. 4, t.u.b.).

Autonomia da” o “subordinazione a” le autorità di vigilanza?

Le considerazioni che precedono potrebbero indurre a ritenere che i poteri attribuiti agli organismi possano essere da questi esercitati in via del tutto autonoma dalle autorità amministrative che, nel nostro ordinamento, vigilano sul sistema finanziario.

Così non è per almeno due ordini di ragioni:

– la prima è che gli organismi non hanno il terzo attributo che tradizionalmente si riconosce alla vigilanza (pubblica), è a dire la vigilanza regolamentare, la quale resta in capo a Banca d’Italia e Consob;

– la seconda è che questi organismi sono tenuti a una stretta cooperazione con le autorità amministrative, essendo ciò previsto dalla stessa legge che li istituisce (cfr. ad es., art. 112 bis, co. 8 bis, t.u.b.).

In ultima istanza, inoltre, gli organismi sono pur sempre soggetti alla vigilanza delle autorità che, ricorrendone i presupposti di legge, possono scioglierli nei casi di inerzia o malfunzionamento (cfr., ad es., art. 18 bis co. 11, t.u.f. e art. 128 terdecies t.u.b.).

Ciò, tuttavia, non mi sembra che implichi un vincolo di subordinazione degli organismi alle autorità, conservando i primi una solida – in quanto prevista dalla legge – autonomia statutaria, organizzativa e finanziaria.

La tutela giurisdizionale

Si è detto che gli organismi possono, ricorrendone i presupposti, adottare provvedimenti di carattere sanzionatorio o, comunque, afflittivo sui loro iscritti. Senza tornare sul caso della sospensione o radiazione dell’albo dei consulenti (sulla cui evidente connotazione sanzionatoria non è il caso di soffermarsi), possono qui essere richiamati:

– l’art. 17 del d.m. 228/2015 che attribuisce all’Organismo ex art. 112 bis t.u.b. il potere/dovere di procedere alla cancellazione dall’elenco dei confidi per i casi di perdita di uno dei requisiti per l’iscrizione, per “gravi” violazioni di norme di legge e di attuazione, nonché per il mancato pagamento del contributo e per inattività (n.b.: all’organismo è attribuito anche il potere di imporre ai confidi iscritti il divieto di intraprendere nuove operazioni o disporre la riduzione delle attività);

– l’art. 128 duodecies t.u.b., il quale stabilisce analoghi poteri di sospensione e/o cancellazione degli iscritti in caso di violazione delle norme che regolano l’attività di agenzia in attività finanziaria e di mediazione creditizia.

Nessun dubbio, allora, che gli atti degli organismi incidenti i diritti e gli interessi degli iscritti possano essere impugnati.

La questione che si pone è quale sia l’organo giurisdizionale dinanzi al quale impugnare i provvedimenti in questione.

La risposta è diversa a seconda che si tratti di organismi previsti dal t.u.f. o dal t.u.b.

Nel primo caso, infatti, l’art. 18 bis, co. 8, t.u.f. prevede che avverso le decisioni dell’OFC è possibile, in prima istanza, presentare ricorso alla Consob entro trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento. In conseguenza di ciò, l’eventuale provvedimento finale, in quanto emesso dalla Consob, deve essere impugnato secondo la disciplina speciale all’uopo prevista, la quale prevede una “opposizione” da spiegarsi innanzi alla Corte d’appello (con applicazione dei commi 4, 5, 6, 7 e 8 dell’art. 195 t.u.f.).

Un diverso regime è, invece, previsto per i provvedimenti assunti dagli organismi di cui al t.u.b., impugnabili dinanzi al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 145 bis, co. 2, t.u.b.

Stante l’affinità di funzioni tra tutti gli organismi descritti, questa differenza di disciplina in punto di tutela giurisdizionale di diritti e interessi – che si deve a ragioni storiche, di stratificazione normativa – non appare del tutto giustificata.

Sotto altro profilo, infine, non sembra azzardato ritenere che eventuali provvedimenti adottati nei confronti di confidi e di iscritti all’OAM, relativi non già all’iscrizione nell’elenco, ma al pagamento dei contributi (e loro eventuale rimborso), possa dare luogo a controversie sul diritto alla restituzione di indebiti la cui natura è estranea all’interesse legittimo, con conseguente possibile apertura del campo della giurisdizione ordinaria.