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Molti passi in avanti nella ristrutturazione del sistema bancario europeo

L’ampio e inevitabile processo di ristrutturazione del sistema bancario europeo non sembra troppo lontano dalla sua conclusione. Il ridimensionamento degli aggregati contabili e delle strutture avvenuto in questi anni è stato decisamente intenso. L’ondata di operazioni di M&A da molti pronosticata non si è però verificata.

Silvano Carletti
Carletti

Il sistema bancario europeo comincia ad emergere dalla profonda crisi in cui era precipitato nel 2008-09. I documenti dell’Eba certificano il raggiungimento di una elevata solidità patrimoniale; parallelamente si intravedono i cambiamenti operativi e gestionali resi necessari dal mutato scenario economico-finanziario.

L’opera di consolidamento è in fase sicuramente avanzata, ma non ancora completata. Significativi ma non ancora sufficienti, infatti, sono i progressi per quanto riguarda la qualità del portafoglio prestiti: alla fine del biennio 2015-16 l’incidenza delle esposizioni non performing risulta scesa al 5,1% ma il dato medio di ben 7 paesi su 29 è oltre il 10%; la frequenza dei gruppi per i quali l’incidenza delle esposizioni irregolari è al di sopra del 8% diminuisce ma rimanecomunque elevata.

Limitati sono anche i segni di ripresa dal lato della redditività (Return on Equity al 3,3% nel 2016). Il campo di variazione si presenta ampio con una larga maggioranza (56%) dei principali gruppi europei (150-155 quelli monitorati) posizionata nella parte bassa della distribuzione (RoE al di sotto del 6%). Il non completato riassorbimento degli effetti del lungo periodo di difficoltà (modesta qualità del portafoglio prestiti, prima di tutto), i più onerosi requisiti normativi, la particolare congiuntura finanziaria non facilitano certamente questo recupero. La migliorata congiuntura economica fornisce una positiva ma parziale compensazione alle difficoltà appena indicate. Nell’insieme,il ripristino di una soddisfacente redditività richiederà tempi non brevi.

Un ridimensionamento più ampio di quanto percepito

Per costruire le premesse del suo rilancio, il sistema bancario europeo ha dovuto sottoporsi ad un forte processo di ridimensionamento: nel periodo 2008-15, il totale degli attivi bancari dell’eurozona è infatti diminuito di circa un sesto (da 33 a 28 trilionidi euro). Questa contrazione è la sintesi di dinamiche nazionali molto diverse: in Germania e Belgio la contrazione è stata di intensità molto elevata arrivando a sfiorare un terzo (31-32%); in Francia, Spagna e Italia, al contrario, la variazione dell’aggregato è trascurabile (appena un punto percentuale). La realtà tedesca contribuisce da sola per oltre metà alla contrazione complessiva dell’aggregato.

Molti parametri strutturali confermano l’intenso (seppure diseguale) processo di ridimensionamento evidenziato dagli aggregati contabili. Complessivamente nell’arco di sette anni (dal 2008 a fine 2015), il numero delle istituzioni creditizie (gruppi e banche autonome) si è ridotto di circa un quinto (quasi 550 in meno), scendendo a meno di 2.400 unità. Nel quadriennio 2012-16 la rete distributiva è stata alleggerita di oltre 22mila sportelli (-13%); tre quarti di queste chiusure sono avvenute in soli tre Paesi (Spagna 9.300, Italia 3.500, Germania 4.200) mentre più limitato è risultato il contributo della Francia (circa 1.100 sportelli in meno).

A spingere verso una così ampia riorganizzazione è stata certamente l’inevitabile riconsiderazione delle strategie di sviluppo portata avanti autonomamente da numerosi gruppi bancari. Al di là di questo, un contributo decisamente non secondario a questo ridimensionamento è venuto dai severi processi di ristrutturazione imposti dalle autorità europee ai gruppi bancari per la cui sopravvivenza è risultata determinante una significativa ricapitalizzazione finanziata con fondi pubblici. Per compensare l’effetto distorsivo prodotto dagli aiuti di Stato sul normale funzionamento della concorrenza la Commissione Europea ha imposto a questi gruppi un rilevante programma di cessioni e chiusure di attività. Secondo uno studio della Commissione Europea, peraltro ormai datato (cfr. State aid to European banks: returning to viability, febbraio 2015), sarebbero stati almeno 120 i gruppi bancari che si sono trovati in questa condizione di pre-insolvenza, un insieme collettivamente pari al 30% circa dell’intero sistema europeo.

Si contrae il circuito bancario, cresce il ruolo dei canali alternativi

Secondo stime Bce, alla fine del 2015 il sistema finanziario europeo risultava composto per il 46% dal circuito bancario, per il 10% dalle compagnie di assicurazione, per il 3% dai fondi pensione; il sistema finanziario ombra occupa uno spazio pari a circa il 20%, quota per tre quarti attribuibile ai fondi d’investimento (non monetari); completano il quadro le “rimanenti altre istituzioni finanziarie” (21%) per oltre due terzi localizzate nei Paesi Bassi e in Lussemburgo.

Elaborando le stime della Bce, sotto il profilo dinamico nell’arco degli ultimi sette anni sono due gli aspetti da segnalare. Prima di tutto, il rilevante ridimensionamento (circa 12 punti percentuali in meno) del peso delle banche, ora al 46%; in secondo luogo la consistente crescita dell’intero circuito finanziario salito da 5,3 a 6,1 volte il Pil dell’area, una tendenza che però nell’ultimo anno ha perso forza. Combinando questi trend si ricava che la dinamica del sistema finanziario dell’eurozona è interamente dovuta alla crescita della composita realtà delle istituzioni non bancarie. In effetti, tra il 2008 e il 2015 le attività dei fondi d’investimento (non monetari) sono cresciute del 130% (quasi € 6 trn in più), un dinamismo cui non è estraneo il livello particolarmente ridotto su cui sono da tempo attestati i rendimenti finanziari

In numerosi interventi si è sottolineato che il concetto di sistema bancario ombra non deve essere caricato di significati prevalentemente negativi trattandosi spesso di realtà complementari al sistema bancario “ufficiale”. Secondo la Bce, nel terzo trimestre 2016 queste istituzioni risultavano aver indirizzatoalle imprese non finanziarie dell’area euro risorse per circa €3,2 trn, mediante sottoscrizione di obbligazioni societarie o quote di capitale e in misura minore tramite erogazione di prestiti. Il limite posto dalla normativa alla prima di queste modalità (erogazione diretta di prestiti) spiega l’ampia prevalenza della sottoscrizione di titoli.

Il tratto fortemente bancocentrico che ha sempre caratterizzato il sistema di finanziamento dell’economia europea si è quindi un po’ attenuato. Rapportato all’intero flusso di fondi destinato alle imprese, il contributo di questo canale non bancario si attesta a livello di area euro al 20%; tutti i maggiori paesi si posizionano (in misura contenuta) al di sottodi questo dato medio; in Belgio, invece, si sale al 42%, in Irlanda al 67%.

Una previsione clamorosamente smentita

Negli anni appena trascorsi sono state molte le ipotesi formulate sulle modalità di evoluzione dello scenario bancario europeo. Una di quelle rivelatasi clamorosamente infondata è quella che ipotizzava una intensificazione delle operazioni di fusione e acquisizione, una replica cioè di quanto avvenuto tra la fine degli anni Novanta e l’inizio di questo secolo.

È di fatto avvenuto il contrario: dopo il 2008 in Europa sia il numero che il valore delle operazioni di M&A è decisamente diminuito. Secondo Dealogic, il valore delle operazioni realizzate negli ultimi 4 anni è largamente inferiore a quanto registrato nel solo 2007 e non troppo diverso da quello del 2008. Se da un lato si deve osservare che il 2007 è stato segnato da un’operazione di straordinaria dimensione (acquisizione di Abn Amro da parte del consorzio composto da Royal Bank of Scotland, Fortis e Santander), dall’altro lato non si può non sottolineare che nel triennio 2014-16 si è toccato il punto più basso degli ultimi quindici anni.

Dalla lettura dei dati emerge che a “mancare” sono state tanto le operazioni di aggregazione domestica quanto quelle cross-border. La motivazione principale è individuabile nella non brillante condizione economica (congiunturale e prospettica) del Vecchio Continente. Oltre a ciò, su entrambi questi tipi di operazione pesa la percezione di un significativo eccesso di offerta del settore bancario in molti paesi (overbanking). La moneta unica, la creazione di un passaporto finanziario europeo[1] e più recentemente i progressi dell’Unione Bancaria non si sono rivelati argomento sufficiente per attivare un importante flusso di operazioni cross-border: Sul totale delle operazioni di M&A completate nell’area euro tra il 2000 e il 2016 la quota di quelle cross-border ha oscillato tra il 5 e il 19% se si fa riferimento al numero, tra 0 e 50% se si considera l’ammontare. L’ultima acquisizione transfrontaliera di un certo rilievo realizzata in Europa è stata (2015) quella che ha avutoper oggetto l’inglese TSB (630 sportelli, 4,6 mln di clienti, totale attivo di £ 28 mld) da parte del gruppo spagnolo Banco de Sabadell (esborso di £1,7 mld); se si restringe l’analisi alla sola area euro per trovare acquisizioni cross-border di importo pari ad almeno €500 mln bisogna risalire al 2011.

Per cambiare questo quadro è essenziale un risveglio dell’economica europea. È però anche necessario ridimensionare l’elevata eterogeneità ancora rilevabile in Europa sotto molti profili, a cominciare da quelli fiscale e legale. Anche il recepimento della direttiva europea che introduce Basilea 3 ha contribuito ad accentuare ulteriormente questo problema di disomogeneità normativa (le opzioni nazionali sono oltre 160).

Questa evidenza spiega il senso di una recente dichiarazione di Danièle Nouy (al vertice del Meccanismo di Vigilanza Unico) che ha auspicato “più regolamenti, meno direttive”. Tra questi due tipi di atti legislativi, infatti, esiste una profonda differenza. Un regolamento è un atto legislativo vincolante e deve essere applicato in tutti i suoi elementi nell’intera Ue. Una direttiva, invece, è un atto legislativo che stabilisce un obiettivo che tutti i paesi dell’UE devono realizzare; spetta, però, ai singoli paesi definire attraverso disposizioni nazionali come tali obiettivi vadano raggiunti.

Nell’insieme l’evocazione di un intensificarsi delle operazioni di M&A cross-border più che una previsione sembra essere un auspicio: la rarità di gruppi bancari paneuropei è anche conseguenza dell’ancora elevata eterogeneità riscontrabile in molti ambiti; parallelamente, però, la costituzione di un certo numero di realtà pan-europee può contribuire in misura sostanziale alla costruzione di un mercato bancario continentale.

[1] Nel diritto dell’Unione europea, con l’espressione “passaporto europeo” si indica il sistema in base al quale, in settori armonizzati, le imprese di uno Stato possono prestare i loro servizi in un altro Stato membro oppure stabilirvisi sulla base della mera autorizzazione dell’autorità competente dello Stato d’origine (“home country control principle”). Il “passaporto europeo” è già stato sperimentato in settori quali quello bancario e assicurativo e nel mercato mobiliare con la direttiva c.d. “UCITS IV”.