approfondimenti/politica economica
L'Europa riparte... e l'Italia?

In un contesto di generale, seppure graduale, espansione dell’economia mondiale e di quella dell’area dell’euro, la crescita dell’economia italiana prosegue molto lentamente, ad un ritmo pari alla metà di quello dell’eurozona, che dovrebbe conseguire a fine anno un tasso di espansione di circa 2 punti percentuali, simile a quello degli USA. Per effetto delle crisi dei mutui subprime e del debito sovrano, l’Italia ha perso oltre il 20% della capacità produttiva nel settore manifatturiero, il PIL resta 8 punti percentuali inferiore a quello osservato nell’estate del 2007. Una robusta ripresa dell’economia è minata dal debito pubblico e dalla situazione del settore bancario, le cui sofferenze rappresentano circa il 50% del totale dei crediti deteriorati europei. Senza dubbio non aiuta l’incertezza politica che impedisce di riprendere il cammino di riforme più volte intrapreso ma mai completato. Le difficoltà del settore bancario italiano dipendono in modo rilevante dalla prolungata depressione dell’economia e la sua ridotta profittabilità è comune a tutti i sistemi bancari caratterizzati dal modello di intermediazione creditizia tradizionale. I recenti interventi normativi sul settore bancario - molti, dalla riforma delle popolari al passaggio a due-tre gruppi nel mondo del credito cooperativo - vanno nella giusta direzione, contribuiscono al raggiungimento di una stabilità maggiore. Il perdurare di tassi di interesse bassi per un periodo ancora lungo richiederà ulteriori razionalizzazioni, modernizzazione dei canali distributivi e investimenti tecnologici, fin qui assai compressi, che mettano le banche in grado di cogliere i vantaggi delle innovazioni disponibili sia nel settore dei pagamenti che dei servizi e dei prodotti finanziari.

Giorgio Di Giorgio

Nei primi mesi del 2017 l’economia mondiale ha continuato a procedere sul sentiero di espansione graduale intrapreso nel 2016, consolidando una crescita che dovrebbe attestarsi a fine anno a un tasso superiore al 3%. Al contempo, i rischi di deflazione sembrano ormai scongiurati ovunque, grazie alle politiche monetarie espansive a lungo condotte dalle banche centrali. Anche l’area dell’Euro, rimasta indietro rispetto sia alla media della crescita mondiale che dei paesi industrializzati, sta recuperando terreno e dovrebbe conseguire a fine anno un tasso di espansione di circa 2 punti percentuali, simile a quello degli USA. Buone notizie arrivano anche dal fronte dell’occupazione. Nonostante tassi di disoccupazione, in Europa, pari al doppio (se non al triplo) di quelli degli USA, il mercato del lavoro ha mostrato una dinamica in recupero in termini di crescita dei posti di lavoro. Addirittura, i tassi di partecipazione al mercato del lavoro sono in linea con quelli USA, segnalando notevoli differenze, tra le due aree, per quello che riguarda l’incidenza dei lavoratori cosiddetti “scoraggiati”.

In questo contesto, l’economia italiana appare ancora in ritardo. La crescita prosegue ormai da oltre 2 anni, ma molto lentamente, ad un ritmo pari a circa la metà dell’area dell’Euro. Il tasso di disoccupazione rimane ben superiore all’11%. Il Paese è stato il più colpito dalla doppia crisi finanziaria, quella dei subprime nel 2007-2008 e quella dei debiti sovrani nel 2010-12, lasciando sul terreno oltre il 20% della capacità produttiva nel settore manifatturiero. A dieci anni dall’inizio della crisi, nell’agosto del 2007, il PIL rimane 8 punti percentuali inferiore. A questi tassi di sviluppo, non tornerà ai livelli di inizio 2008 prima di 7-8 anni. I due principali fattori che gravano su una ripresa più robusta dell’economia, come ben evidenziato nelle considerazioni finali del Governatore della Banca di Italia, sono il debito pubblico, con un rapporto rispetto al PIL superiore al 130%, e la situazione del settore bancario, le cui sofferenze contribuiscono per circa il 50% al totale dei crediti deteriorati europei. Pur in difficoltà cronica, con una performance peggiore della media nell’area dell’Euro da oltre due decadi, il Paese rimane tuttavia il secondo produttore in Europa, con esportazioni vivaci e dinamiche. La bilancia dei pagamenti è tornata in avanzo da ormai 3-4 anni, la posizione netta sull’estero risulta molto più equilibrata rispetto agli altri paesi periferici.

La sfida, di nuovo, sembra essere legata ad una incertezza politica pericolosa, da cui deriva la difficoltà di un governo con orizzonte temporale sufficientemente lungo, sostenuto da una maggioranza omogenea e coesa al suo interno, capace di riprendere il cammino più volte intrapreso, ma mai completato, delle molte riforme strutturali di cui il Paese ha ancora bisogno: nella regolamentazione del mercato dei beni, nella giustizia, nel fisco, nella pubblica amministrazione. Molto è stato fatto, nelle prime settimane dal Governo Monti, con tanti piccolo interventi di utile “cabotaggio” dal Governo Letta e poi, con impeto, all’inizio, dal Governo Renzi. Ma ogni Governo ha gradualmente esaurito la spinta riformatrice e si è trovato costretto dalla situazione politica a “vivacchiare” o ad effettuare deviazioni contorte dal programma di azione che aveva annunciato. Occorre completare il lavoro, modernizzare il Paese, renderlo capace di cogliere le opportunità che un mondo più ricco, e più facilmente raggiungibile con le nuove tecnologie, offre ogni giorno. Solo così sarà possibile riprendere il cammino di uno sviluppo economico in grado di riportare, nel giro di un decennio, il rapporto debito – Pil sotto al 100% senza costringere il Paese, una ennesima volta, ad affrontare una contrazione fiscale perniciosa e controproducente.

Le stesse difficoltà del settore bancario dipendono in modo rilevante dalla prolungata depressione dell’economia. L’elevato livello di non performing loans non è solo dovuto a pratiche di malaffare o semplice incapacità di selezionare prenditori di fondi meritevoli di affidamento; situazioni che pure, senza dubbio, si sono verificate in qualche caso. La ridotta profittabilità è comune a tutti i sistemi bancari europei caratterizzati         dal modello di intermediazione creditizia tradizionale. Un livello eccezionalmente basso dei tassi di interesse, innescato prima dalla doppia recessione e dopo dalle politiche monetarie espansive necessarie a sostenere la ripresa, rende il return on equity inferiore al cost of equity quasi ovunque, in particolare laddove il sistema bancario è più frammentato e meno capace di sfruttare economie di scala e di scopo. I recenti interventi normativi sul settore bancario – molti, dalla riforma delle popolari al passaggio a due-tre gruppi nel mondo del credito cooperativo – vanno nella giusta direzione, contribuiscono al raggiungimento di una stabilità maggiore. Probabilmente, il percorso intrapreso di consolidamento, sia a livello nazionale che europeo, non è ancora terminato. Il perdurare di tassi di interesse bassi per un periodo ancora lungo richiederà ulteriori razionalizzazioni, modernizzazione dei canali distributivi e investimenti tecnologici, fin qui assai compressi, che mettano le banche in grado di cogliere i vantaggi delle innovazioni disponibili sia nel settore dei pagamenti che dei servizi e dei prodotti finanziari.

Le sofferenze bancarie sono concentrate, settorialmente, nelle costruzioni e nella manifattura, in primo luogo, nel commercio e nelle altre attività immobiliari a seguire. Al netto degli accantonamenti già effettuati sono pari a circa il 4,5% del totale degli impieghi. Il dato, pur impressionante, va letto insieme alle garanzie disponibili, sia reali che personali, prestate a favore del settore bancario, che possono ridurre, almeno in parte, ulteriori perdite di valore. Occorrerà tuttavia, per ogni banca, scegliere la giusta strategia per ridurre il problema, con maggiore gradualità, laddove possibile, attraverso la gestione interna, ovvero affidandosi ad operatori specializzati o cedendo i crediti deteriorati sul mercato. Queste soluzioni sono più costose, a livello aziendale, ma più rapide. La scelta strategica di ogni intermediario, in questo campo, sarà una determinante essenziale della sua capacità di rimanere sul mercato e di posizionarsi nell’arena competitiva. La configurazione futura del nostro settore bancario rifletterà il successo di tali scelte individuali e determinerà fino a che punto le banche continueranno a mantenere una posizione predominante nel finanziamento delle imprese italiane.